È di queste ore la polemica sulla sorte della salma del capitano nazista Priebke. La Chiesa ha negato le esequie pubbliche così come il sindaco Marino. L’Argentina non lo vuole, lo rifiuta anche il paese che gli dette i natali in Germania.
Qualcuno si appella alla carità cristiana, qualcuno cita la salma di Ettore e l’Iliade per ricordare come dal dì che si istituì il rispetto per i morti, potemmo dirci civili. Una cosa è certa: la sorte della salma di quest’uomo dimostra la nostra incapacità di assorbire la ferita nazista. La terra, come una madre, assorbe il bene, il male, persino sulle montagne di rifiuti nasce l’erba. Ma noi siamo umani, troppo umani e la salma di un nazista ce lo ricorda. Allora diventa ingombrante, diventa insostenibile potersi pacificare con il male totale che è riuscito a partorire l’uomo.
Sono sempre stata contraria all’alibi della follia per spiegare il nazismo. C’è molta letteratura a riguardo ma la “ Banalità del male” della Arendt è ancora la migliore spiegazione di come si possa degenerare così, banalmente nell’orrore. Non è vero che tutte le ferite si devono rimarginare: Chirone ad esempio, il più saggio e benevolo dei centauri, esperto nelle arti, nelle scienze ed in medicina che ebbe per allievi numerosi eroi come Aiace, Achille, Enea, Eracle, Fenice, Giasone , era zoppo. La sua ferita era proprio quella cosa che lo rendeva saggio. Quando una ferita è aperta, ci ricorda cosa ce l’ha provocata. Ricordare sempre come si può scivolare nel razzismo e nel totalitarismo, ci aiuta ad essere più saggi, così come Chirone.
Anche Achille aveva il suo punto fragile, il tallone. Allora ben venga questa fragilità, anche questa capacità di non voler celebrare o accettare le spoglie di un nazista. Non è vendetta: è la nostra coscienza che si rifiuta di assimilare e normalizzare un dolore così profondo, così pericolosamente ripetibile.