In una nota, "per respingere parziali interpretazioni della stampa" i pm nisseni rivendicano la loro competenza sulla morte di Borsellino e degli agenti della scorta dopo le motivazioni della sentenza del processo Mori in cui si escludeva che il giudice fosse stato ucciso perché si opponeva alla trattativa Stato-mafia: "Il Tribunale palermitano, ha potuto esaminare solo indirettamente questa vicenda"
Dopo le motivazioni della sentenza per la mancata cattura di Bernardo Provenzano, che ha mandato assolti il generale Mario Mori e il colonnello Mauro Obinu, in cui i giudici di Palermo hanno scritto che la strage di via D’Amelio era stata programmata da tempo e che non fu l’opposizione del magistrato alla trattativa la causa della sua morte la Procura di Caltanissetta fa sapere i titolari dell’inchiesta sul massacro di Paolo Borsellino e gli agenti di scorta sono i pm nisseni: “In corrispondenza con il deposito da parte del tribunale di Palermo della sentenza nei confronti del generale Mario Mori, che merita rispetto e richiede attenta lettura come tutte le sentenze, non possiamo non respingere alcune parziali interpretazioni effettuate dalla stampa da cui parrebbe che il principale argomento su cui il tribunale palermitano ha deciso è la strage di via d’Amelio”.
Secondo i magistrati “in realtà, una lettura del capo di imputazione, – prosegue la nota – nonché il richiamo alle regole ordinarie di funzionamento del processo, rende evidente che solo la competente magistratura di Caltanissetta potrà direttamente intervenire sugli aspetti che riguardano il barbaro eccidio di Paolo Borsellino. Il Tribunale palermitano, dunque, ha potuto esaminare solo indirettamente (e probabilmente con un diverso compendio probatorio) questa vicenda di competenza nissena, – conclude – e solo al fine di rispondere a quello che era il vero tema del processo: la mancata cattura dell’allora latitante Bernardo Provenzano”. Una critica al verdetto arriva anche dal procuratore aggiunto di Palermo Vittori Teresi che parla di una sentenza da 4 meno.
“Dedicare le prime ottocento pagine a un tema che è stato trattato dall’accusa solo come ipotesi di movente e occuparsi solo in minima parte del tema principale del processo, cioè la mancata cattura di Provenzano, – aggiunge – è un modo curioso che ha scelto l’estensore di scrivere le decisioni”.
Sulle stragi mafiose del ’92 che costarono la vita ai giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino oggi parla anche il neo procuratore della Direzionale nazionale Antimafia Franco Roberti: “Ci sono indagini in corso, quindi io ho fiducia che facciano luce come si sta dimostrando anche su aspetti non ancora messi a fuoco nei primi procedimenti. Aspettiamo l’esito…”. A margine del primo incontro del progetto educativo antimafia promosso dal al centro Pio la Torre a Palermo Roberti dice: “Lo Stato come apparato giudiziario e investigativo ha fatto tantissimo ma non ha ancora vinto le mafie. Lo Stato vince la mafia se solo lo vuole veramente, recidendo connivenze e complicità in modo netto e definitivo. Quando la nostra classe dirigente avrà fatto questa scelta, allora potremo dire ‘c’era una volta la mafia”.