Mentre si discute sul destino della salma di Erich Priebke, rischiamo di dimenticare che ci sono altri criminali nazifascisti a piede libero. Anch’essi non pentiti. Persone spietate e sanguinarie, anch’esse lasciate libere (o semilibere) di circolare a testa alta, dopo una reclusione effettiva durata meno di vent’anni. Libertà preceduta da un lungo periodo in cui, nonostante decine di ergastoli, il carcere lo hanno vissuto come dormitorio, essendo impegnate durante il giorno in attività di “volontariato”. L’unico stragista nero che sta scontando la sua pena è Vincenzo Vinciguerra, responsabile della strage di Peteano: reo confesso e non pentito, è il criminale meno intervistato d’Italia.
Nell’Italia dei due pesi e due misure ci sono corsie preferenziali anche per gli assassini, purché fedeli e/o affidabili. Corsie che, nella peggiore delle ipotesi, conducono a sepolture più che onorevoli. Il boss della Magliana Renatino De Pedis, per esempio, riposa in pace in terra più che consacrata: basilica di Sant’Apollinare, Città del Vaticano. I più “fortunati”, invece, se la cavano con meno di vent’anni di galera e una serena mezz’età. E’ il caso di Francesca Mambro eValerio Fioravanti, condannati in via definitiva a numerosi ergastoli, per la strage alla stazione di Bologna ed altri crimini (commessi e ordinati). Gente capace di brindare con ostriche e champagne per festeggiare l’omicidio del magistrato Mario Amato. Oggi vivono liberi e spensierati, con la figlia concepita durante gli anni della reclusione. Senza escludere una futura candidatura al Parlamento, che oggi come oggi non si nega a nessuno. Altrettanto fortunati – per venire a vicende meno remote – rischiano di essere Roberto Savi (fascista di razza, poi approdato alla squadra mobile di Bologna), suo fratello Fabio ed alcuni dei loro complici. Da tempo, a scadenze regolari, gli ex poliziotti della Uno bianca chiedono pubblicamente “perdono” ai familiari delle vittime. Che altrettanto regolarmente glielo negano. Vuoi vedere che a forza di indulti, amnistie e sconti di pena va a finire che anche loro potranno tornare a marciare per le strade di Rimini e Bologna?
I neofascisti e i gladiatori più imprudenti – e/o meno fedeli ai precetti contenuti nei “Fogli d’Ordine” («Negate, negate a tutti i costi, negate tutto quello che non potete giustificare») – hanno avuto un destino diverso. Chi sa troppe cose deve morire, specie se non tiene la bocca cucita. Si pensi alla brutta fine del pentito nero Sergio Calore, già membro di spicco di Ordine Nuovo, ammazzato a picconate il 6 ottobre 2010. La sua collaborazione con la giustizia era iniziata nel 1984. Prima di morire aveva parlato ai magistrati di esponenti del movimento di Rauti infiltrati nella Democrazia Cristiana. In anni più lontani toccò ai neofascisti “infami” Ermanno Buzzi e Carmine Palladino pagare il prezzo dell’inaffidabilità. Il primo non fece in tempo a gustarsi l’assoluzione per la strage di Piazza della Loggia: i camerati Pierluigi Concutelli e Mario Tuti – oggi entrambi liberi – lo strangolarono nel 1981 nel carcere di Novara; l’anno seguente, nel medesimo carcere, Concutelli (già killer del sostituto procuratore Vittorio Occorsio) uccise anche Palladino, considerato “anello debole” di Avanguardia Nazionale. Anche dentro un carcere, se hai gli amici giusti, può esserci libertà d’azione.
Da anni, in nome di un malinteso garantismo, si fa finta di considerare normale che, mentre lo Stato si ostina a non adeguare il proprio sistema carcerario agli standard europei (e a non recepire il reato di tortura nei propri codici), cittadini inermi possano essere bastonati a morte da membri delle forze dell’ordine. Viceversa stragisti e “banditi” possono continuare ad offendere la memoria delle loro vittime. Scrivendo testamenti-manifesto; professandosi innocenti senza chiedere, chissà perché, la revisione del processo che li ha condannati; insultando i parenti delle vittime davanti a telecamere e microfoni. La recente richiesta dello stato a Mambro e Fioravanti (risarcimento di 1 miliardo), ammesso e non concesso che possa essere concretamente esigibile, non basterà a cancellare lo scandalo della loro libertà omertosa. Soprattutto non basterà a fare luce sui mandanti dell’eversione, che hanno «determinato un indebolimento della natura democratica del Paese». L’unico risarcimento accettabile sarebbe la verità.