Alla Fiera del Levante di Bari Matteo Renzi (segretario in pectore alla segreteria del Pd) si è lasciato andare a dichiarazioni che dovremmo tenere a mente. “Un paese civile, che non immagina di finire domani, deve ripartire da scuola, educazione, asili nido”. Condivisibile: sono anni che ci sforziamo di trasmettere lo stesso messaggio. “Deve ripartire da scuola, educazione, asili nido; deve scommettere sul capitale umano; diciamo però le cose come stanno. Abbiamo il voto degli insegnanti: il 43% vota per noi. Ma noi non ci siamo mai preoccupati fino in fondo degli insegnanti”. Un’ammissione: chi potrebbe non essere d’accordo, a parte forse il riferimento al “capitale” umano. “Dobbiamo cercare di restituire agli insegnanti la forza sociale del loro impegno”. Argomentazione: gli lasciamo i nostri figli. Cosa c’è di più prezioso? Ma: “Li abbiamo bombardati con la contraerea di riforme, una dopo l’altra. Non li abbiamo mai coinvolti in un progetto serio”. Esattamente così.
Prendiamo per buone tutte queste affermazioni e svincoliamole, per un momento, dal fatto che – una campagna elettorale dopo l’altra – la scuola ha tradizionalmente occupato un posto d’onore, poi fatalmente sconfessato nella successiva prassi politica e amministrativa. Riconsideriamo, però, quanto Renzi ha sostenuto nel tempo a proposito di scuola. Andiamo indietro di 2 anni. Siamo alle “100 idee per il Big Bang”: alla convention alla stazione Leopolda di Firenze il “rottamatore” presenta un documento con le sue cento idee per l’Italia.
Il programma sulla scuola della sedicente new generation, che si candidava ormai esplicitamente come alternativa al vetero-Pd, raccoglieva una serie di formulette: prestigio e reddito agli insegnanti capaci, con revisione del reclutamento e premialità (facile: basta non intervenire su quanto aveva già disposto Brunetta; e continuare ad omettere chi valuta e cosa valuta) ; eBook (un evergreen transgenerazionale) per tutti, con fornitura gratuita da parte del Miur dei dispositivi necessari per la loro lettura; 5 ore settimanali di inglese dalla quinta elementare (mentre tra i nostri ragazzi le competenze di letto-scrittura e di comprensione del testo in lingua madre sono scoraggianti, come ultimamente ha confermato il rapporto PIAAC OECD, che vede la nostra popolazione tra i 16 e i 65 anni ultima rispetto a 24 paesi proprio nelle competenze linguistiche). E poi l’abolizione del valore legale del titolo di studio, che secondo l’avvocato Mauceri (per la Scuola della Repubblica) “mette in discussione l’assetto istituzionale del sistema scolastico, perché comporterebbe una “liberalizzazione” (oggi molto di moda) dei percorsi formativi sul modello americano e si moltiplicherebbero i “progettifici”, senza un progetto culturale nazionale. La scuola del “fai da te”, insomma. Proposta demagogica, apparentemente innovativa, in realtà vecchia e in contrasto con l’assetto costituzionale. Un pericoloso florilegio di amenità, probabilmente concepite all’epoca per garantirsi visibilità, condite da modernità acritica e da ignoranza assoluta in merito a fini e problemi della scuola della Repubblica. Non una parola per la Costituzione, naturalmente (troppo “antica”?).
Tema, quello della Costituzione, accuratamente evitato anche nel programma politico presentato in occasione, un anno dopo, delle elezioni dello scorso febbraio. Per Renzi un’urgenza: accesso del 40% dei bimbi ad un nido pubblico. “Il costo stimato sarebbe di 3 miliardi l’anno di spese correnti. Elevato ma sostenibile, in una manovra complessiva da 75-90 miliardi come quella che proponiamo”. Il sindaco di Firenze affermava che “gli istituti scolastici devono godere di un’ampia autonomia, anche riguardo alla selezione del personale didattico e amministrativo, con una piena responsabilizzazione dei rispettivi vertici e il corrispondente pieno recupero da parte loro delle prerogative programmatorie e dirigenziali necessarie”: tradotto, potrebbe significare chiamata diretta del personale e pieni poteri al dirigente: requiem per gli organi collegiali. Per gli addetti ai lavori: un ritorno alla versione hard – quella originaria – della proposta di legge Aprea.
Nel programma di Renzi apparivano centrali anche la valutazione e sue implicazioni: delle scuole e dei docenti (per i quali si prevedeva formazione in servizio obbligatoria e carriera); incentivi ai dirigenti degli istituti con performance di alto livello; riproposizione della logica del progetto Valorizza “già sperimentato in 4 province nel 2010-11”, di cui veniva però omesso il clamoroso fallimento. Ma questo è un altro discorso. Infine: edilizia e upgrade (sic!) tecnologico della didattica.
Non abbiamo motivi di pensare che il candidato alla segreteria confermi che “ripartire dalla scuola” significhi riproporre il programma presentato lo scorso anno e quindi rottamare alcuni aspetti fondanti della scuola dello Stato. Ma qualche dubbio c’è, considerando che la matrice neoliberista orienta le sue convinzioni anche in altri settori. Un sospetto che quella sua aria scanzonata e ridente, da eterno ragazzino un po’ saccente ma autentico in modo disarmante; quel suo colloquiare informale e quella schiettezza ostentata, continuamente rimarcata, non riescono proprio a fugare. Anzi.