Cronaca

Chiedeva l’abolizione del 41 bis ora si candida a presidente dell’Antimafia

Donato bruno, avvocato e senatore Pdl, è il candidato del centrodestra. Nel 2002 diceva: "Il carcere duro è una tortura, lo abrogherei". Una scelta contesta dal Partito democratico. Tanto che ieri sera la commissione non si è insediata

Nel 2002 tuonava senza indugi: “Il 41 bis è solo una tortura per i detenuti, io lo abrogherei”. All’epoca Donato Bruno, pugliese classe ’48, professione avvocato, era già nelle file di Forza Italia, allineatissimo alle posizioni del Cavaliere. Oggi che è senatore con casacca Pdl vede concreta la possibilità di accomodarsi sulla poltrona di presidente della Commissione parlamentare antimafia.

Il cortocircuito è netto. Ed è per questo che ancora ieri sera la nomina è saltata e la commissione, a sette mesi dalla nascita del governo delle larghe intese, non si è insediata. A mettersi di mezzo soprattutto il Pd. Non è possibile, infatti, si ragiona tra i democratici, che tra ministero dell’Interno, ministero della Giustizia e Copasir (organo di controllo sui servizi segreti) nessuna presidenza sia finita al Pd. Ed ecco allora la fumata nera di ieri notte, con gli uomini forti del Pdl a spingere per la nomina di Bruno.

E del resto il personaggio è di quelli robusti. Avvocato-parlamentare, come molti nel Popolo della libertà, entra in Forza Italia nel 1996. La conoscenza con Berlusconi risale ad anni prima. Le cronache la collocano nel 1978, quando Bruno, da avvocato, cura gli interessi immobiliari di una amico di Berlusconi. Quindi l’avventura politica in tandem con Cesare Previti, ex ministro pregiudicato, amico di sempre. In Parlamento ci entra all’opposizione. Chiamato dal Cavaliere per fare il sottosegretario, si ritrova in campagna elettorale, vinta dall’Ulivo. Nel 2001 il ritorno da vincitore. Arrivano i premi. Berlusconi gli affida commissioni importanti come quella sui fatti del G8 di Genova.

Ora il governo delle larghe intese potrebbe regalargli la poltrona di presidenza della Commissione antimafia. E del resto di nomine inopportune ce ne sono altre. A partire, ad esempio, da Carlo Sarro (Pdl), da sempre vicino alla famiglia di Nicola Cosentino, ex sottosegratrio indagato per concorso esterno. Sarro da sempre si batte per far riaprire i termini del condono edilizio bloccato dalla Regione (centrosinistra) nel 2003. E con lui è stato nominato Claudio Fazzone, ras del Pdl in provincia di Latina. Dalla sua ha una dura opposizione contro lo scioglimento per mafia del comune di Fondi, da sempre feudo di ‘ndrangheta e camorra. Quindi ecco Rosanna Scopelliti (Pdl) figlia di Antonino, il giudice antimafia ucciso nel 1991. La ragazza sembra avere le qualità in regola. Certo si è battuta molto contro la decisione dell’ex ministro Cancellieri di sciogliere il comune di Reggio Calabria. Dopodiché nell’agosto scorso è scesa in piazza con i suoi compagni di partito per protestare contro la magistratura. E meno male che il caso del senatore Pdl Antonio Caridi, processato e assolto per i suoi rapporti con i boss, è rientrato.

Intanto oggi a Roma nelle stanze della politica la questione sulla Commissione terrà sicuramente banco. Nel Pdl non hanno dubbi: il candidato unico è Donato Bruno, lo stesso, che dopo la notizia che il gip ha rigettato la richiesta di archiviazione su Renato Schifani, indagato a Palermo per concorso esterno, ha commentato: “Decisione inspiegabile che ci lascia rammaricati”. Ad oggi, dunque, il governo italiano non ha una commissione antimafia. Colpa della politica e dei politici, naturalmenti. Gli stessi che ieri sono stati messi nel mirino dal pm Vittorio Teresi che appellandosi ai mafiosi li ha invitati a mollare quei politici che a differenza loro se ne stanno ancora in Parlamento liberi e impuniti