Non solo malnutrizione, alcolismo e malattie, ma soprattutto l’esproprio delle terre cui sono legati da vincoli ancestrali, hanno portato la tribù indigena dei Guaranì Kaiowá ad avere il tasso di suicidi più alto del mondo. La media nel nuovo secolo è spaventosa, almeno uno ogni settimana.
Secondo i dati del ministero della Salute brasiliano nel 2012 se ne sono uccisi 56: una media 34 volte più alta che nel resto del Brasile. E sono stime per difetto, perché ovviamente molti suicidi non sono denunciati. L’ultima è stata mercoledì una ragazza di 17 anni, e in generale si tratta di giovani uomini e donne tra i 15 e i 29 anni, anche se la vittima più piccola ne aveva solo nove. Per questo, insieme ad altre tribù indigene, alcuni di loro sono andati a protestare davanti alla sede del Congresso di Brasilia, dove uno dei loro portavoce, Rosalino Ortiz, ha denunciato: “I Guaranì si stanno suicidando perché ci stanno portando via la terra, non abbiamo più spazio dove stare”.
I Guaranì Kaiowá sono la parte della grande tribù Guaranì che staziona nella regione brasiliana del Mato Grosso do Sul, e in parte nel Paraguay nordorientale. Al contrario del comune pensare non sono nomadi, ma agricoltori stazionari e hanno con la terra un legame spirituale molto profondo. Quando i primi conquistadores arrivarono in Brasile, si calcola che i Guaranì vivessero su una superficie di foreste, pianure e fiumi di oltre 350mila chilometri quadrati: ridotta oggi a meno di un decimo. E la popolazione è passata da mezzo milione a poche decine di migliaia. I Guaranì, noti per non aver mai accettato di convertirsi al cristianesimo proprio per mantenere il legame con le loro terre, dono del “grande padre” Nande Ru, oggi vivono in ammassati in anguste riserve. In una di queste, Dourados, oltre 12mila indigeni vivono in 30 chilometri quadrati, e qui tra alcolismo, depressione e omicidi il tasso di crimini è altissimo: 50 volte più alto che in Iraq.
“Senza la terra per mantenere le loro tradizioni, i Guaranì si sentono inutili e umiliati. Molti di loro sono diventati tristi, insicuri, instabili e spaventati, con la sottrazione delle loro terre coltivabili hanno perso anche la speranza di una vita migliore – spiega l’etnologo Tonico Benites -. Inoltre sono sfruttati e insieme mandati via dalle loro terre dai coltivatori di canna da zucchero che poi producono gli alcolici con cui gli indigeni si rovinano. E la miseria e la disperazione in cui gravitano sono la causa primaria dei suicidi tra i giovani”. Benites racconta poi come l’epidemia di suicidi sia cominciata negli anni Settanta, quando il governo brasiliano ha cominciato a rinchiuderli nelle riserve. Ma i Guaranì sono anche vittime delle violenze e degli omicidi dei grandi allevatori di bestiame che vogliono le terre per farne foraggio, e delle compagnie che vogliono quei territori per produrre a carburante biologico.
Proprio a fine settembre la procura locale ha chiesto la chiusura dell’agenzia di sicurezza privata Gaspem, descritta dai pm come “una milizia privata (…) un gruppo organizzato che usa violenza contro i Guaranì del Mato Grosso do Sul meridionale, ricorrendo a persone violente definite guardie di sicurezza”. Una vera e propria organizzazione di vigilantes che pattugliano le zone intorno agli accampamenti con grossi automezzi e sparano a vista, oppure aspettano la notte per appiccare il fuoco agli accampamenti, come il rogo di Apy Ka’y nel 2009, uccidendo gli indigeni per conto delle compagnie private che vogliono espropriare le loro terre. Qualche settimana la Ong Survival aveva raccontato su ilfattoquodiano.it la storia di Damiana, una donna che lotta con il proprio corpo e la propria voce contro questi continui soprusi dei vigilantes. Un raggio di speranza in una situazione disperata.
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