Le ultime settimane sono state un susseguirsi di allarmi sempre più drammatici. La parola catastrofe è stata il leitmotiv. Il governo degli Stati Uniti ha chiuso bottega per qualche giorno. Il default appariva imminente, inevitabile. Mentre scrivo queste righe, l’allarme resta alto: il 17 ottobre è la data ultima, l’orlo dell’abisso. Il tutto legato a doppio filo con il “tetto” del debito americano: se i repubblicani non concederanno l’innalzamento di quel “tetto”, oltre i 17 trilioni di dollari (17.000 miliardi), salta tutto per aria. Ma com’è possibile che un paese come l’America, che stampa – creandoli dal nulla – svariate centinaia di miliardi di dollari ogni anno, che – prestati al Tesoro consentono di pagarsi il debito – rimanga senza soldi?

Mistero, apparente, creato dalla strampalata finanza mondiale. Il fatto è che, fino a ieri, quel debito veniva comprato in gran parte dai cinesi, che adesso sono diventati molto sospettosi. E l’altro fatto è che c’è una legge dello Stato Usa che stabilisce un tetto del debito consentito. Oltre il quale non si può più spendere. I repubblicani ne hanno fatto un’arma per colpire l’Amministrazione di Obama. E il loro divieto è diventato una minaccia per tutti. E’ una cosa seria? Lo è,  serissima. La stessa cosa era accaduta nel 2011, anche in quel caso tra alte strida di possibile default. Tanto alte che i consumatori americani  si erano spaventati e avevano speso il 22% in meno rispetto all’anno precedente. E, se il consumo americano scende, scende l’economia mondiale.  La recessione, da fantasma qual è, diventa reale, se non diventa addirittura una depressione.

C’è della pazzia nel comportamento dei repubblicani. Ma la vera questione è che tutto il meccanismo è impazzito. E Obama non è da meno.  Il fatto è che noi siamo alle dipendenze di quella pazzia. Anzi siamo parte integrante di quella pazzia, e la condividiamo. E nessuno sa come uscirne. Per meglio dire si saprebbe come uscirne, ma nessuno si azzarda a dirlo. Perché ha paura. Infatti uscirne significa cambiare le regole della finanza mondiale, che sono quelle scritte dalla finanza anglosassone, da Wall Street e dalla City of London, e imposta a tutto il mondo. Uscirne significa dire apertamente che gli Usa non sono più in grado di pagare l’orchestra. Ma è un discorso lungo. Un qualsiasi governante europeo che dicesse una cosa del genere sarebbe fatto fuori in meno di 48 ore. Vuoi sorprendendolo a letto con tre prostitute, vuoi perché gravemente ammalato, vuoi perché avvelenato con il Polonio 210.

Dunque silenzio, accompagnato da geremiadi incomprensibili ai più. Ma ci sono alcune cose da sapere per capire come – con alta probabilità – andrà a finire nelle prossime ore. La prima di queste cose è il 14-esimo emendamento della Costituzione Usa, che dice esattamente questo: “La validità del debito pubblico degli Stati Uniti (…) non può essere messa in discussione”. La seconda è questa: che il debito americano è l’unica proprietà che non corre alcun rischio su questo pianeta. Quel debito è la colonna portante che sorregge non solo l’economia americana, ma tutto il sistema finanziario del mondo. E perché? Perché tutti i finanzieri del mondo, insieme a tutti i governanti del mondo, la pensano in questo modo. Cioè si comportano come se quel debito sia una merce sicura al 100 per cento. Una merce per la quale c’è sempre, e ci sarà sempre, una domanda. Una merce che non resterà mai ferma in magazzino. Ecco, appunto: fino a ieri è stato così. La questione di oggi è: e se così non fosse domani? Questa domanda mette i brividi. Una default americano destabilizzerebbe tutti i mercati dei debiti, a cominciare da quello europeo. E ciò, come una valanga, investirebbe il valore di tutti i beni in ogni latitudine.

Follia? Certo, evidente. Follia pura. Ma è la realtà. Ecco perché io credo che il default americano non ci sarà. Troveranno un accordo in extremis, un trucco, un marchingegno. E  tutti tireranno un sospiro di sollievo.  Ma quello che si deve capire è che sarà un respiro corto. Perché il problema reale che giace sotto il paradosso apparente è che la questione non sarà risolta per la semplice ragione che non è più risolvibile, così come ciò che non è sostenibile, alla lunga, non potrà essere sostenuto. La situazione che si è creata in questi ultimi quaranta anni ha dato agli americani immensi vantaggi. Mantenerla equivale a mantenere quei vantaggi. Ma non è più possibile in un mondo in cui altri protagonisti aspirano (e possono aspirare) a quei vantaggi. Per conservare il suo potere e i suoi vantaggi l’Occidente ha truccato le carte. Di fronte alla contrazione della crescita ha stimolato il debito. Ora è il debito che regge lo sviluppo. Ma il debito è divenuto troppo grande e cresce ancora a ritmi esponenziali. E non c’è mongolfiera che possa salire per sempre. Quando si arriva al limite, al “tetto”, poi ci si ferma e infine si precipita.

Fino a ora gli Usa, di fatto, non hanno pagato. Sul presupposto che la loro supremazia militare avrebbe consentito loro di non pagare  comunque.  Adesso il mondo non è più il loro (o soltanto il loro). E la loro superiorità militare , pur evidente, non può nascondere i libri mastri. Il debito è divenuto troppo grande per tutti, America inclusa. Rendere visibile tutto questo alle opinioni pubbliche  non si può. Ecco perché il default americano sarà evitato: per ora. Ma sarà solo un rinvio. Un rinvio corto. Prima lo capiremo, meglio sarà per noi. Capirlo significa smetterla di illuderci che uscendo dall’euro ci salveremo. Se non cambiamo le regole che ci sono state imposte, non ci salveremo affatto.  Il debito è impagabile, ma i padroni dell’Universo ci chiederanno di pagarlo. Poi bruceranno i libri mastri, insieme ai nostri risparmi e ai nostri diritti.

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