“Amicizia” è un termine di uso corrente nei social network. Nello spazio ipertestuale di Facebook, dove è possibile commentare postando un’immagine o un brano musicale, amicizia è un termine la cui area semantica è talmente sfumata da comprendere anche concetti come “pubblico” (nel senso di spettatori), utenti, clienti e quant’altro.
E allora partiamo da qui: l’Altro, nel social network, è una presenza tagliata sulla misura della “condivisione”, le differenze – l’Altro da Sé di psicoanalitica memoria – essendo disperse in quell’oceano di voci solitarie e inerti, si azzerano le une con le altre. Una riprova di ciò? I post di personaggi famosi (spettacolo o politica o sport poco importa) che dalle pagine o dai profili personali richiamano decine di commenti la cui commensurabilità massima si gioca sul criterio del plauso devoto o dell’insulto cafone. Troppa gente, troppe ciarle per cavarne qualcosa di utile. Solo una chiara indicazione: il post è utile a chi lo mette! Allarga l’area del riconoscimento, anche attraverso la critica o – come si diceva – l’insulto sublimato in linguaggio. Forse non è un caso che il proprietario della pagina poi non partecipi al dibattito!
Se Facebook è qualcosa di assimilabile a LinkedIn, ossia un network professionale, dove si fa circolare il proprio lavoro e si aumenta la probabilità promozionale delle proprie capacità, ciò non sembra comportare problemi di interpretazione: usi la rete per migliorare la tua immagine, fosse anche quella che costruisci intorno alle tue passioni e ai tuoi hobbies privati.
Il problema comincia dove il network diventa un diario, per giunta pubblico. Nel quale si registrano gli infiniti scarti della tua esistenza quotidiana, se vai a fare la pipì trenta volte al giorno, o se ti rode il fegato per non aver vinto al gratta e vinci, e così via postando. O dove il network diventa uno spazio dove la solitudine non si condivide, ma si agisce – in una sorta di costante acting out – nell’adescamento, nella seduzione, nella pianificazione di una vita parallela, virtuale ma per quanto possibile sempre sul punto di trasformarsi in reale. D’altronde, chi ha visto il bellissimo film di David Fincher The social network, avrà apprezzato la tenerezza – presto trasformata in rapacità imprenditoriale – delle motivazioni adolescenziali che hanno spinto il creatore di Facebook, Mark Zuckemberg, a fare ciò che ha fatto: una rete per far civettare gli studenti di Harvard.
Sandro Vero
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