Media & Regime

Rai: trasparenza senza il tic della ‘casta’

La battaglia per la trasparenza arruola spesso i demagoghi. Chi vuol diventare il Renato Brunetta imitato da Maurizio Crozza a Ballarò? E ripetere: “Quanto costa Pagnoncelli? Quanto costa Floris? Quanto costa il meteo? Quanto costa la Rai?”.

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Ora non parliamo di merito, ma di metodo. Le accuse di Brunetta funzionano perché vanno a indicare la casta televisiva che, spesso, si muove in parallelo con la casta politica, e dunque abbiamo il conduttore casta, l’artista casta e il programma casta. Sarebbe istruttivo abolire il termine “casta”, non pronunciarlo per un po’ di tempo, darci un po’ di sollievo, riuscire a ragionare e non soltanto a insultare. Anche le rondini che rinviano la migrazione, e sono aggrappate al posto fisso, potrebbero sembrare una casta volatile.

Gli italiani che pagano il canone hanno il diritto di sapere come l’azienda spende miliardi di euro pubblici, però, devono sapere anche che viale Mazzini fa parte di un mercato aperto e le concorrenti sono private, tutte. Gli italiani che pagano il canone devono sapere lo stipendio (ingente) di Fabio Fazio (5,4 milioni di euro in tre anni), però, devono sapere anche il contributo in ascolti e pubblicità che Fazio garantisce a viale Mazzini. Gli italiani che pagano il canone devono sapere perché un investimento può valere decine di milioni (Crozza su Rai1, esempio), però, devono sapere anche le spese per le riprese esterne, per forniture, consulenze, appalti. Conoscere lo stipendio di Crozza o Fazio ciba la folla con un pezzo di carne viva, ma non serve a nulla: non risolve i problemi finanziari di viale Mazzini, che s’avvia a un debito superiore al mezzo miliardo di euro. Far passare il conto corrente di Littizzetto o Vespa nei titoli di coda è inutile quanto stupido. Cantare una canzone al Festival con Beppe Grillo, in segno di protesta per il contratto di Fazio, può essere divertente, se nel frattempo sul palco si sta esibendo un ex concorrente di Amici.

Per salvare la televisione pubblica, patrimonio culturale di ciascuno di noi, occorre trasparenza totale e controllo imparziale. Qualcuno che dica Fazio fa guadagnare 10 milioni di euro, ma forse – se s’abbassa l’ingaggio e non lo portano via – potremmo incassarne un paio di più. Ci vuole un comitato o un esperto che, assieme ai vertici cioè direttore generale e presidente, affronti qualsiasi ipotesi editoriale e contabile e lo faccia per tutelare gli abbonati: le scelte vanno motivate, non comunicate e basta.

E poi ci sarebbero le risorse per fare una trasmissione che non genera profitto perché il servizio pubblico non è profitto. Non può. Altrimenti privatizziamo la Rai, e addio. Ma siete pronti a correre il rischio di avere un nuovo Silvio Berlusconi con una nuova società multimediale? Il bene pubblico va difeso, migliorato, non abbattuto. Un politico fancazzista è casta se guadagna 12.000 euro, ma anche se ne guadagna 2.000.