l'atto-di-uccidereFaccia a faccia con gli assassini. Poche didascalie e qualche inquadratura bastano a Joshua Oppenheimer per introdurre i suoi protagonisti allo spettatore: Anwar Congo, uno dei capi degli squadroni della morte, e Herman Koto, gangster e leader dei paramilitari. Nelle sale dal prossimo giovedì per I Wonder Pictures, The Act Of Killing è un documentario che non somiglia a nessun altro, un’indagine impressionante e dolorosa sul mondo del negativo in cui si muovono i carnefici dietro al colpo di stato che, nel 1965, depose il governo indonesiano stabilendo la dittatura militare.

Con distensione e nauseante orgoglio, gli ex-killer raccontano i modi attraverso i quali trucidarono chiunque si opponesse al regime, a partire dagli appartenenti ai sindacati e alla minoranza etnica cinese, fino ai contadini privati della propria terra e agli intellettuali. Oggi uomini benestanti e amati dal popolo, i gangster – il termine, stando a loro, significherebbe “uomo libero” – accettano la sfida di ricreare le scene delle loro innumerevoli esecuzioni calandole nei generi che amavano quando erano soltanto piccoli fuorilegge dediti al bagarinaggio dei biglietti del cinema.

Ne deriva un allucinante corto-circuito tra vero e falso, un incredibile gioco delle parti che affermano di voler affrontare soltanto per lasciare una testimonianza di ciò che sono stati alle nuove generazioni. Provocazione non da poco, gli stessi killer dovranno interpretare anche i ruoli delle vittime, una scelta dietro alla quale si nasconde il tentativo di far affiorare una coscienza ormai offuscata dalla pazzia. In breve, Oppenheimer passa dal ruolo di regista a quello di “direttore del gioco”, trasformando quel lavoro sul set, accolto con abominevole professionalità, in un vero psicodramma: è solo riguardandosi sullo schermo televisivo nella parte di una vittima che Anwar Congo ammette di essere tormentato, ogni notte, dai fantasmi del passato. Difficile da guardare come da dimenticare, si tratta di un’opera da cui si possono astrarre riflessioni sulla storia, sulla morale e sulla mancanza di informazione, una visione estrema che sa trasformarsi nel lucido e incredibile esame di una follia condivisa.

Prodotto da Werner Herzog e Errol Morris, che hanno deciso di entrare nel progetto dopo aver visto i primi girati, The Act of Killing sollecita inoltre domande precise sul potere potenzialmente negativo di alcuni generi e sull’essenza stessa della finzione cinematografica. Passato nella sezione Panorama Dokumente dell’ultima Berlinale, ha ricevuto il Premio della giuria ecumenica e quello per la miglior produzione internazionale al Biografilm Festival.

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