Il togolese Kodjo Afate Gnikou ha usato chip e motori di vecchi scanner per realizzare il device a meno di cento dollari. Il suo obiettivo è quello di ridurre gli enormi centri di ricezione di e-Waste del Continente usando i componenti anziché bruciarli con conseguenze drammatiche per salute e ambiente
Le montagne di rifiuti elettronici che il mondo industrializzato spedisce nei Paesi in via di sviluppo sono un problema enorme per l’ambiente, per la salute e per la sostenibilità globale; eppure potrebbero diventare una risorsa. Bastano un po’ d’inventiva e soprattutto la conoscenza dei motori per lo sviluppo sostenibile di domani. Uno di questi è la stampa 3D, un metodo “additivo” per la produzione di oggetti di ogni genere. Additivo significa che ogni oggetto viene creato aggiungendo strato su strato di materiali, senza buttare via nulla. Proprio come una stampante a inchiostro, ma su tre dimensioni: invece di lettere, si stampano oggetti. Così ogni cosa può essere realizzata in loco, eliminando i costi economici e ambientali dei trasporti e permettendo a chiunque, in qualsiasi parte del mondo, di aver accesso a qualsiasi prodotto industriale.
La stampa 3D cambierà il mondo in molti modi. Uno l’ha mostrato Kodjo Afate Gnikou, un “maker” togolese: finanziando il suo progetto W. Afate attraverso il sito Ulule, Gnikou ha creato una stampante 3D usando i rifiuti elettronici trovati in una delle tante, sterminate, discariche africane. Chip e motori di vecchi scanner, computer, stampanti e altri rifiuti gli hanno permesso di realizzarla per meno di cento dollari, mentre i modelli oggi più diffusi costano da 400 a più di duemila dollari. Gli obiettivi per W. Afate sono ambiziosi. Primo tra tutti, quello di ridurre gli enormi centri di ricezione di e-Waste presenti in Africa, usando i componenti invece di bruciarli con conseguenze drammatiche per salute e ambiente. Secondo, ma non meno importante, c’è il desiderio di mettere nelle mani dei popoli africani gli strumenti che contribuiranno a cambiare il mondo nei prossimi decenni, dando loro il potere di essere parte di questa nuova, virtuosa, rivoluzione industriale. Il processore che controlla i movimenti di una stampante 3D non deve essere particolarmente potente e la puntina meccanica, che spara i materiali plastici (anche biodegradabili), si muove come quella di una stampante normale, su tre assi invece di due. Solo la scheda Arduino, un componente inventato in Italia che permette di coordinare i movimenti robotici, deve essere acquistato.
Il progetto W. Afate, che Gnikou vuole standardizzare e rendere accessibile a tutta la popolazione togolese, è stato realizzato con il supporto della WoeLab Community, un incubatore tecnologico che si autodefinisce “il primo spazio africano per una tecnologia democratica”. Tra i loro sogni a lungo termine c’è anche quello di ricollocare le discariche di e-Waste su Marte, usandole per costruire sistemi di stampa 3D per colonizzare il Pianeta Rosso. Eppure questo non è l’unico progetto per lo sviluppo hi-tech del Continente. Paesi come Ghana e Kenya, sostenuti da investimenti esteri, stanno sviluppando dei veri poli tecnologici, intere città che guardano al futuro. La tecnologia sta diventando uno strumento per ridurre le differenze tra il Nord e il Sud del mondo. Emblematico è il caso del Kenya, il Paese con più telefoni cellulari per abitante. La mancanza di infrastrutture cablate ha permesso uno sviluppo rapidissimo delle reti wireless, come, peraltro, è accaduto in Italia. La differenza è che il Kenya sta investendo 14,5 miliardi di dollari nel suo futuro, costruendo Konza, una città di 200mila chilometri quadrati che diventerà la “Silicon Savana”, con il pieno supporto di Google, Samsung e Huawei. Qui verranno creati 200mila nuovi posti di lavoro, innescando una competizione con Hope City, in Ghana, per diventare il principale polo tecnologico africano.
di Davide Sher