Sono ancora stordito da quel vergogna lanciato dal Papa. A chi è rivolto? E’ rivolto a noi, a noi che abbiamo invocato politiche securitarie, a noi che abbiamo provato fastidio per la diversità, a noi che ci siamo girati dall’altra parte convinti che non fosse una priorità.
Lampedusa è una zattera alla deriva nel Mediterraneo, come l’Europa di oggi. Senza guida, senza responsabilità. All’indomani delle primavere arabe flussi di giovani in fuga dalla repressione, affamati di vita, vi si aggrappavano con speranza e con disperazione. Se l’Europa sosteneva i ragazzi di piazza Tahir, dall’altro non si prendeva nessuna responsabilità chiudendo le frontiere.
Adesso non sono i ragazzi della primavera, ma uomini e donne in fuga dalla Siria, dall’Eritrea, dalla Somalia. Le loro facce non hanno più entusiasmo, ma la disperazione di chi non ha più nulla da perdere. Vengono dalle prigioni, dalle violenze, c’è chi è scampato alle torture e chi è stata violentata.
La zattera Lampedusa, dove la disperazione prende forma, diventa immagine perché decodificata dal circuito mediatico occidentale. Quei media che non si disturbano di andare nei lager libici o nei deserti africani, nelle fosse comuni di Damasco o in quelle di Mogadiscio.
Lampedusa diventa il frame del fenomeno migratorio, cioè la cornice che permette (richiamando immagini, mappe mentali ed emozioni) di leggere la complessità del fenomeno migratorio. Fondamentale è la comunicazione utilizzata, la narrazione degli eventi, i messaggi inviati e il dibattito pubblico che ne viene fuori. Attraverso il ricorso a immagini e parole vengono suscitate emozioni: la paura è quella che funziona meglio. E’ attraverso questo tipo di messaggi, attraverso richiami al “rischio” immigrati, dipinti ora come una massa indistinta di “ladri di lavoro”, poi come assassini e stupratori, che si è arrivati al reato di clandestinità.
Aver creato il reato di clandestinità è stato devastante nell’aver dato una rappresentazione dello status di clandestino (una condizione esistenziale) uguale a quella di criminale. Il dibattito pubblico è stato avvelenato in questi vent’anni dalla retorica populista e xenofoba che ha scatenato i peggiori sentimenti nella società italiana. Si è alimentata la percezione che l’Italia non è un Paese sicuro a causa dell’”invasione via mare degli immigrati”, senza porsi il problema sulla reale consistenza dei reati commessi dagli immigrati. La nostra società non è riuscita a rispondere a queste spinte che hanno devastato la cultura e i principi democratici.
Gli accordi italo-libici sono stati sbandierati come il successo della politica securitaria di questa destra che al grido “fermiamo l’invasione” calpestava il diritto internazionale e respingeva i migranti con le motovedette. Per anni abbiamo bevuto dalla sorgente xenofoba che propagandava odio, costruendo la nostra percezione che dietro stupri, rapine in villa, ci fossero gli uomini che sbarcavano a Lampedusa. La politica veniva così alimentata da quella richiesta di severità e di sicurezza che veniva da una società sempre più impaurita. Lampedusa sempre di più diventa la controllata speciale, il luogo dove le politiche mostrano i muscoli raccontando ai cittadini che stanno rispondendo al loro bisogno di sicurezza.
Aver consegnato la narrazione del fenomeno migratorio alla retorica della destra è stato devastante. Bisognava raccontarla in altro modo. Quel migrante non doveva essere rappresentato come un clandestino che metteva in pericolo con il suo solo esistere la vita degli italiani, in una riedizione di scontro tra civiltà. Ma come uomini e donne in cerca di una vita migliore (come ieri noi italiani) che hanno retto con il loro lavoro la nostra economia.
È impressionante la totale subalternità al pensiero della destra da parte della sinistra, che non è stata in grado non solo di rappresentare un’alternativa ma neanche di tentare un’opposizione. Anzi, spesso si è proprio inseguita la destra, come non ricordare i sindaci sceriffi. Ma non è mancata solo la classe politica, assente anche la società civile: non ricordo girotondi o altre manifestazioni contro la Bossi-Fini o per lo ius soli. Non ricordo sollevazioni indignate nei confronti dell’amicizia Gheddafi-Berlusconi. La verità è che eravamo troppo impegnati a fare ‘i cristiani in pasticceria‘ o gli impegnati nei salotti per capire che non esistono solo il conflitto d’interessi e le questioni giudiziarie di Berlusconi.
È proprio in questa incapacità c’è la cifra della decadenza del nostro Paese, che prima che economica, è civile e culturale. Responsabilità condivisa dalla destra che ha avvelenato i pozzi e dalla sinistra incapace di fare la sinistra.