Nell’accordo strappato da Caltagirone e soci al sindaco Ignazio Marino è stato di fatto cancellato il rischio d'impresa. Tradotto: il Campidoglio staccherà assegni in caso di eventuali altre modifiche al tracciato, di nuove norme procedurali, di ritardi nel rilascio delle autorizzazioni e, soprattutto, di potenziali ritrovamenti archeologici. La denuncia del collegio sindacale a Corte dei conti e Procura
Un ‘vuoto a rendere’. E’ l’accordo strappato da Caltagirone e soci al sindaco di Roma Ignazio Marino sulla Metro C. L’opera più costosa d’Europa, quasi 4 miliardi di euro, con un ritardo da record (almeno 6 anni), continuerà a succhiare soldi ai cittadini romani e italiani. Un regalo descritto e contestato nella relazione-esposto che il collegio sindacale della municipalizzata Roma Metropolitane ha consegnato alla Corte dei Conti e alla Procura della Repubblica. “Ove si determinino ulteriori differimenti per varianti, prescrizioni, modifiche e ritardo nelle certificazioni – si legge nel documento della società capitolina – sarà riconosciuto al Contraente generale (le imprese affidatarie, ndr) per ogni frazione di ritardo di una fase funzionale quanto previsto per la determinazione degli importi”. Tutto a tempo e condizioni indeterminate, a vantaggio dei grandi costruttori. Come? Cancellando, di fatto, il rischio d’impresa. Non solo. Il collegio sindacale si spinge anche oltre nella sua denuncia, ricordando di aver segnalato ad agosto “alcuni comportamenti, atti e deliberazioni del cda e del dg della società che appaiono contrari alle vigenti normative”, e a settembre “ulteriori profili di illegittimità della condotta posta in atto” dai vertici aziendali. L’obiettivo dell’organismo, del resto, è quello di “verificare che in tali condotte non si configurino ipotesi di reato e/o di danno erariale”.
Il riferimento è all’ennesimo atto attuativo firmato il mese scorso al ministero delle Infrastrutture, per mettere fine al braccio di ferro sui finanziamenti tra il Consorzio Metro C (Astaldi, Vianini di Caltagirone, Ansaldo di Finmeccanica e Ccc) e la società capitolina. Ma l’inghippo è dietro l’angolo: al punto 7.1 si cancellano le incognite per le ditte costruttrici. Tradotto: qualsiasi variante sul progetto o stop ai lavori dovuti a ulteriori ritrovamenti archeologici porterà il Comune a staccare altri assegni. Le 4 clausole riguardano eventuali altre modifiche al tracciato, nuove norme procedurali, ritardi nel rilascio delle necessarie autorizzazioni e, soprattutto, potenziali ritrovamenti archeologici. Che in questi anni non sono mancati.
Lo slittamento dei tempi, per una di queste cause, costringerebbe il Campidoglio a sborsare ancora centinaia di milioni di euro per finire un’opera attesa dal 2000. Risorse che Palazzo Senatorio avrebbe difficoltà a mettere insieme, guardando il bilancio su cui pesa un disavanzo di quasi 1 miliardo. Fondi che, in parte, dovrebbero essere chiesti al Cipe, visto che il governo è ente finanziatore dell’opera per il 70%. Non a caso, Palazzo Chigi ha già versato al Campidoglio i 230 milioni da girare come risarcimento ai costruttori per il fermo cantieri degli anni passati. Altri 300 sono pronti per realizzare la tratta San Giovanni-Colosseo. Non solo. Con l’ultimo accordo il Comune dovrà pagare ancora: ben 90 milioni “per oneri al contraente generale relativi alle 3 fasi funzionali”. Dovevano essere compresi negli stanziamenti precedenti. Il 9 ottobre, l’incontro a Palazzo Chigi tra l’assessore capitolino alla Mobilità, Guido Improta, e il comitato tecnico del Cipe. Una riunione interlocutoria per capire se aprire l’ennesima istruttoria. La decisione, però, arriverà nei prossimi vertici. I vantaggi tuttavia non sono tutti per il Consorzio Metro C. Marino e i suoi sono riusciti a strappare un crono-programma sui lavori. Per ogni mese di ritardo una penale. Solo che le sanzioni previste sono di gran lunga inferiori a quelle dell’accordo: basti pensare che lo slittamento di un anno sulla tratta fino a piazza Lodi, prevista per il dicembre 2014, costerebbe a Caltagirone e soci poco meno di 47 milioni.
Clausole anti-rischio d’impresa, in un accordo bonario che il sindaco Marino sperava fosse tombale, rappresentano una novità nel panorama dei trasporti capitolino. Ciò non significa che non ci siano stati altri ‘regali’ in passato. Ma le cifre erano sempre determinate in anticipo. Come accaduto per la Metro B1: nel 2007 il Consorzio Risalto conquista il ‘premio accelerazione’ per chiudere entro il 2011 la tratta tra piazza Bologna e Conca d’oro. Gli oltre 20 milioni arrivano in anticipo, l’opera però viene consegnata chiavi in mano con un anno di ritardo. Tutto certificato dall’autorità di vigilanza dei contratti pubblici. In questo caso, però, per gli aumenti di spesa non previsti i protagonisti si accusano a vicenda. E l’ultima fermata, quella di piazzale Jonio, che ancora non vede la luce.
Nell’inverno di 2 anni fa, invece, nella capitale doveva nascere il Corridoio della Mobilità: una maxi linea filobus pensata per collegare la stazione Metro Laurentina a Trigoria. Con il passare degli anni, il tracciato si ridimensiona fino ai 4 chilometri attuali che portano a Tor Pagnotta, complici anche le inchieste su presunte mazzette che hanno coinvolto l’ex sindaco Alemanno, insieme al suo fedelissimo Riccardo Mancini (ex ad di Eur Spa). Tra gli altri motivi: mai stato realizzato il cavalcavia sul Grande raccordo anulare previsto dalle opere compensative in carico alle aziende appaltatrici.
Ma ci sono altri dubbi nella relazione su Metro C. Tra questi il presunto pasticcio della nomina dell’ex vicecapo di gabinetto di Alemanno, Giammario Nardi, alla guida della commissione di collaudo per la tratta T3 (San Giovanni-Colosseo). Nardi viene nominato a una settimana dal ballottaggio delle amministrative 2013. Poi l’amara sorpresa che fa saltare mezzo milione di stipendio: il 19 giugno il cda dell’azienda comunale comunica all’ex vicecapo di gabinetto che il suo incarico “deve ritenersi sospeso”. Tutto a causa di un cavillo: la dichiarazione sostitutiva allegata e relativa al possesso dei requisiti (assenza di incompatibilità o conflitti di interesse) non era stata firmata. Il collegio sindacale teme “l’insorgere di pretese da parte di Nardi” e la possibilità di “responsabilità soggettive”. “Il contratto – aggiungono – andava dichiarato inesistente, perché illegittimo, e non revocato”. Il rischio è sempre lo stesso: quello di continuare a pagare. Ad libitum.
di Santo Iannò e Vincenzo Bisbiglia
aggiornato da Redazione Web alle 17.25 del 17 ottobre 2013
Riceviamo e pubblichiamo:
Egregio Direttore, con riferimento all’articolo “Roma, stop ai lavori di Metro C per reperti archeologici? Il Comune pagherà lo stesso”, pubblicato in data odierna sull’edizione on line del Fatto Quotidiano, si forniscono alcune precisazioni a beneficio dei Suoi lettori. L’Atto attuativo della Deliberazione CIPE n°127/2012 è stato sottoscritto il 9 settembre u.s. da Roma Metropolitane e Metro C al fine di superare ritardi e incertezze, che avevano peraltro alimentato un rilevante contenzioso, nella prospettiva di rendere certi costi e tempi di realizzazione dell’opera. E ciò nei limiti della copertura finanziaria del CIPE e dello stesso quadro finanziario dell’opera. Con l’Atto sono stati precisati e attualizzati i termini di consegna dell’opera, tenuto conto delle criticità realizzative emerse medio tempore e che a vario titolo avevano condizionato i tempi di esecuzione dell’intervento. Senza voler innovare il diritto vigente né ridurre il rischio di impresa del Contraente Generale, si è inteso piuttosto trarre insegnamento dall’esperienza fatta. Quindi con il punto 7.1 dell’Atto sono stati regolati gli ulteriori differimenti dei tempi di ultimazione delle opere che potranno essere eventualmente generati dalle cosiddette varianti indotte da cause di forza maggiore ovvero da cause comunque non imputabili al Contraente Generale (come, ad esempio, sopravvenute prescrizioni riguardanti l’esecuzione dei lavori o l’entrata in vigore di nuove normative). Lo stesso punto 7.1, inoltre – sempre alla luce dell’esperienza pregressa – ha inteso disciplinare gli eventuali differimenti dei tempi di ultimazione delle opere generati da varianti richieste dal Committente o da Enti terzi (ad esempio, Soprintendenze) per il tramite del Committente medesimo. Sono state inoltre precisate le responsabilità del Contraente Generale, per cui lo stesso sarà soggetto al pagamento di rilevanti penali, per eventuali differimenti dei tempi di ultimazione al medesimo imputabili, compresi quelli necessari per emendare vizi costruttivi e funzionali e per integrare ogni eventuale omissione del progetto realizzato. Si sottolinea, infine, che la clausola di cui al suddetto punto 7.1 è perfettamente in linea con quanto disciplinato dal Codice dei Contratti pubblici nel caso di affidamenti a Contraente Generale e con quanto già stabilito dal Capitolato Speciale di Appalto posto a base di gara. In particolare, la medesima clausola consente di migliorare sensibilmente la disciplina contrattuale con riferimento alla gestione delle eventuali ulteriori varianti in corso d’opera.
Ringraziamo Roma Metropolitane per la precisazione, che in ogni caso non smentisce i contenuti del nostro articolo
La redazione