La sua ricetta anticrisi? Uno street party per 1500 persone, una nuova boutique da 600 metri quadrati e Borse Birkin di coccodrillo color giallo/Milano. Ma c'è chi dice no alla cultura dei brand de luxe, e nella bottega Conticelli di Orvieto insegnano l'arte, ormai estinta, dell'artigianato
Non sono stata invitata, dunque ne parlerò benissimo. In verità mi volevo imbucare con al braccio una borsetta Kelly farlocca, di quelle comprate al Gran Bazar di Istanbul. Giusto per vedere l’effetto che fa e se me la scoprono. Pare che gli addetti alla contraffazione abbiano messo a punto un sistema infallibile degno del più sofisticato dei metal detector. L’inaugurazione del nuovo flagship Hermès, 600 metri quadrati di meraviglie d’antan, era sublime. Cominciata con uno street party illuminato da proiezioni di cavalli a mo’ di ombre cinesi che si inseguivano lungo via Montenapoleone. A seguire un “cortile party” dove si sono esibiti i Pilobolus, artisti da Oscar, in strepitosi attorcigliamenti corporali. Per finire alla consolle uno scapigliato dj Prince Charles, erede Hermès (sesta generazione) che alla griffe di famiglia preferisce sparare decibel spaccatimpani. Mentre nell’ottagono della galleria Vittorio Emanuele si scopriva con solennità Pegaso, il cavallo alato in legno e cuoio realizzato dall’artista Christian Renonciat. In boutique in bella mostra borse Kelly, Birkin, Constance, carré setosi di stampa equestri e riding boots da collezione. Il nuovo colore icona della maison? Il giallo Milano (mais oui), quella sfumatura tipica delle vecchie facciate dei palazzi. Per il modello in coccodrillo (ma qui si dice coccò) c’è già la lista d’attesa. E pensare che sono nati come sellai nel 1837.
Quella cara estinta arte dell’artigianato. Anche lui ha il culto della materia di pregiata fattura e usa lo stesso cuoio da sellaio come Hermès. Sfefano Conticelli, artigiano etrusco, come ama lui stesso definirsi, nella sua “bottega dei miracoli” di Orvieto, ha tanti sogni per la testa. E alleva giovani talenti. Tra questi suo figlio Francesco, che sarebbe finito a fare il disoccupato con una (che me ne faccio?) laurea in Scienza della Comunicazione. Stefano intanto ricicla scarti di legno e utilizza tela grezza, feltro, flanella e cartone, insomma materiali poveri. Del suo primo prototipo di borsa a forma di sella di cavallo ha fatto cadeau alla regina Ranya di Giordania. Le grandi griffe lo coccolano, ma lui tentenna. La sua fede é: “In un pezzo fatto a mano si legge il saper fare dell’uomo. La mano interagisce con il cervello come un cavallo col suo cavaliere. L’artigianato è vivo e lotta con noi per sopravvivere”.
Dunque meglio rimanere uno spirito puro e local che vendere l’anima al diavolo. Intanto la sua ultima percezione dinamica è un vestito in cuoio staccabile per lo scooter e per il suo derrière ha confezionato un morbido bauletto.
Un delirio di sensi la Chocolate Room del Four Season di Milano, ricavato da un ex convento, che festeggia i suoi primi 20 anni e dedica alla moda milanese borsette e pochette, cappellini frou frou e decolletè con tacco, tutte delizie fatte di fondenti, nougat e pralinè. Le sciure sono in sollucchero anche per la visione di quel fusto del direttore Carlo Stragiotto. C’è chi si inebria, chi sospira: come è sexy, come è sensuale. Stiamo parlando del cioccolato? E furtivamente se lo infilano nella borsetta.