Sono passati poco più di
sette anni dall’ultimo provvedimento di indulto, e se una certezza abbiamo, è l’assoluta incapacità della classe politica tutta, di risolvere un problema che si ripresenta ciclicamente invariato.
Il sovraffollamento carcerario, infatti, non è una condizione insolita per l’Italia, eppure il nostro Paese si trova ad affrontarlo sempre come fosse un’emergenza del tutto nuova. Il dato nuovo, semmai, è la
condanna inflitta all’Italia dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che, oltre all’obbligo risarcitorio nei confronti di “Torreggiani ed altri”, ci impone una brusca presa di coscienza sulle
disumane condizioni della detenzione nel nostro Paese. Ed allora via con il solito pasticciaccio brutto che ci vede fronteggiare la questione attraverso
provvedimenti tampone, applicando la nota tecnica, tutta italiana, del ricorso ordinario a strumenti
straordinari.
Così ecco profilarsi all’orizzonte, ancora una volta, amnistia e indulto da utilizzare come strumenti deflattivi del carico penitenziario, nonostante l’esperienza già vissuta sotto il governo Prodi nel 2006 ne abbia già ampiamente dimostrato non solo la fallacia ma anche la capacità di produrre l’infausto effetto di alimentare la sfiducia dei cittadini nella politica, creando una prospettiva d’impunità che finisce con l’indebolire ulteriormente la certezza del diritto e della pena.
Inoltre viene spontaneo domandarsi se, come già successo in passato, indulto ed amnistia non andranno a produrre un altro subdolo e odioso effetto a vantaggio dei mafiosi detenuti per reati satellite ed in barba alla dignità delle forze dell’ordine, della magistratura e delle vittime. Chi conosce il mio percorso politico sa bene quanto sia attenta ai valori della dignità umana, ma certamente il rispetto di tale valore non può passare per il sacrificio di giustizia e legalità.
Quali allora le soluzioni prospettabili? Va da se che buon senso, e non qualunquismo, di fronte a temi così forti, richiederebbe, più che un provvedimento di carattere emergenziale, un programma di governo chiaro approvato dai cittadini italiani. La gamma dei rimedi attuabili non può prescindere, certamente, da una riforma generale che vada oltre l’attuale sistema delle pene, prevalentemente orientato in maniera repressiva e fondato sulla detenzione, implementando pene interdittive e misure patrimoniali e prevedendo un sistema di misure alternative che stabiliscano forme di impegno a favore della collettività.
Altra necessità è mettere mano a tutta quella legislazione che ha finito col creare non solo ulteriori carichi penitenziari, ma anche successivo aggravio per il lavoro dei magistrati: ad esempio la Fini-Giovanardi e la Bossi-Fini.
Infine per far vivere dignitosamente chi ha commesso dei reati potrebbe giovare l’utilizzo dei tantissimi istituti penitenziari in disuso, abbandonati, inagibili, chiusi, vuoti. Tanti sono quelli costruiti, arredati, dotati di strumentazione all’avanguardia e mai inaugurati. Miliardi gettati al vento, per cattedrali nel deserto cui nessuno pensa più. Se è vero che il grado di civiltà di una nazione si misura dalle carceri e non dai palazzi, auspicherei che ad una futura visita il novello Voltaire possa approvare!