Circa trecento lavoratori hanno protestato per quattro ore davanti ai cancelli dell'industria. A prostestare il gruppo Si Cobas insieme al Laboratorio Crash: "Le assunzioni promesse non si sono mai verificate, e temiamo che non ci siano prospettive concrete". Contrari gli altri sindacati: "Hanno trasformato una lotta per i diritti dei lavoratori in una questione politica"
Ancora proteste, ancora cancelli bloccati alla Centrale del Latte di Bologna. Nemmeno tre mesi e già vacilla l’accordo firmato a luglio davanti al prefetto Angelo Tranfaglia per la ricollocazione dei facchini licenziati dalla Sgb, la cooperativa che gestisce i magazzini della Granarolo. Lasciati a casa in 41, a cui si sommano i 10 finiti in cassa integrazione, lo scorso maggio, “per aver scioperato contro un taglio del 35% in busta paga”. Questa mattina circa 300 lavoratori, guidati dai Si Cobas e dal Laboratorio Crash, hanno presidiato per quattro ore l’ingresso del colosso del latte “in solidarietà ai colleghi rimasti senza lavoro”, per chiedere “che le promesse formulate dall’azienda siano rispettate”. Ponendo fine, di fatto, alla tregua estiva stipulata in seguito a una stagione di scioperi serrati, che in poche settimane avevano paralizzato la fabbrica di via Cadriano.
“A luglio – spiega Aldo Milani, coordinatore nazionale del Si Cobas – abbiamo firmato un accordo che prevedeva la ricollocazione di 23 operai in diversi magazzini a tempo indeterminato” con una posizione contrattuale analoga a quella che avevano presso le cooperative per le quali lavoravano, Global Logic, Planet Log e Work Project, tutte della Sgb, “superando quindi il periodo di prova previsto a inizio rapporto di lavoro”. Ebbene, continua Milani, “non solo quelle assunzioni non si sono ancora verificate, nonostante il termine stabilito fosse ottobre, ma non c’è nemmeno alcuna prospettiva concreta per il riassorbimento degli altri 28”.
“Ad oggi ci risulta che solo 2 o 3 lavoratori siano stati contattati – sottolinea la confederazione dei comitati di base – e ciò che è stato offerto loro sono 3 mesi di prova in un magazzino a condizioni salariali inferiori rispetto a quelle che avevano prima del licenziamento. Questo è un ricatto: sanno che i facchini in cassa integrazione non hanno ancora ricevuto un euro di ammortizzatori sociali, perché i ritardi per chi vi accede sono ormai noti, e che quindi hanno bisogno di un reddito”. Ma a queste condizioni, chiarisce Milani, “i lavoratori non ci stanno, e per questo siamo tornati a manifestare. Per il momento non abbiamo indetto scioperi, tuttavia abbiamo dichiarato lo stato di agitazione perché è l’unico modo per sbloccare la situazione: ciò che chiediamo è che si attivino tutti gli strumenti necessari a ricollocare chi è stato ingiustamente licenziato. Il prefetto ci ha chiesto pazienza, ma quanto può resistere un padre di famiglia senza reddito?”.
Le critiche espresse dal Cobas, però, Legacoop e sindacati confederali le rispediscono al mittente. “L’adesione al percorso proposto dal prefetto di Bologna – replica Tiziano Tassoni, responsabile logistica e trasporti di Legacoop Bologna – è stata collaborativa fin dall’inizio, e nonostante il quadro di difficoltà legato alla crisi, l’accordo siglato in prefettura da tutte le parti sociali è stato ampiamente rispettato: sono 9, ad oggi, i lavoratori che hanno trovato una ricollocazione all’interno delle nostre imprese secondo le tempistiche concordate con il prefetto”. In realtà, continua Tassoni, la protesta organizzata dal Cobas è “strumentale”: “chi mente sul mancato rispetto degli impegni – attacca – altro non fa che agitare strumentalmente e inutilmente gli animi o, più semplicemente, immagina che i posti di lavoro si creino con uno schioccare di dita: forse viene da un altro pianeta o è carente di conoscenze sul tema lavoro in questo contesto di crisi”. L’impegno preso a luglio, assicura quindi l’associazione territoriale, che a livello nazionale rappresenta oltre 15.000 cooperative, “sarà rispettato”.
Conferma che arriva anche da Cgil e Cisl, unite nell’accusare il Cobas di aver trasformato “una lotta per i diritti dei lavoratori in una questione politica”. “In piena stagione di scioperi Aldo Milani disse che il suo sindacato aveva gestito male la situazione, e che se avessero perso la vertenza anche alla Granarolo l’espansione del sindacato Cobas si sarebbe arrestata. Ebbene – spiegano Stefano Rivola e Alberto Ballotti, rispettivamente delegato Fit Cisl e segretario della Filt Cgil – qui c’è in gioco il futuro di 51 famiglie ed è a loro che bisogna pensare, non alle esigenze di una rappresentanza sindacale”. “A volte l’eccesso di conflittualità non aiuta – continua Ballotti – la nostra preoccupazione è che queste azioni abbiano un effetto negativo non solo sull’accordo, riducendo le disponibilità occupazionali che già oggi non sono ampie, vista la situazione generale del mercato, ma anche sul singolo lavoratore”. Se a luglio, spiega la Cgil, le manifestazioni condotte dal Cobas a trattativa già iniziata avevano “rischiato di far saltare il tavolo”, “oggi non bisogna dimenticare che parliamo di lavoratori in maggioranza stranieri e quindi facilmente ricattabili: alle proteste possono seguire denunce e il mancato rinnovo del permesso di soggiorno. Bisogna pensare a loro e non fare propaganda”.
“La logistica è un settore problematico – conclude Ballotti, che con Cils e Uil la prossima settimana incontrerà il prefetto per fare il punto della situazione – dove spesso non si applica il contratto nazionale e le condizioni di lavoro sono proibitive. E’ giusto protestare, ma non bisogna dimenticare che serve un progetto ampio per risolvere i problemi di un settore così complesso”.