“Le norme del decreto sul contrasto alla violenza di genere appena approvate sono un fatto importante e positivo. Rispondono alle richieste maturate in una coscienza civile diffusa”, scrive la deputata del Pd Fabrizia Giuliani sull’Unità del 16 ottobre. Le sue dichiarazioni, pubblicate sul sito di ‘Se non ora quando’ (Snoq), non piacciono alle donne di 42 comitati di Snoq che con una propria posizione, raccontata alle audizioni alla Camera, spiegavano come ritenessero sbagliato il fatto che in quel decreto non ci fosse la dovuta attenzione alla prevenzione e come l’irrevocabilità della querela fosse “un’arma a doppio taglio”. L’irrevocabilità della querela oggi diventa revocabile per i casi meno gravi. Affinché sia resa tale però la donna dovrà subire l’umiliazione di un ulteriore processo: davanti a un giudice racconterà perché vuole revocare la querela. E’ opinione diffusa che la conseguenza sarà una diminuzione delle denunce, una maggiore omertà, e non il contrario.
Tante, comunque, le rappresentanti istituzionali vicine al governo che dichiarano di aver “messo in sicurezza” le donne. Dal giorno dopo l’approvazione del decreto abbiamo, invece, potuto constatarne l’inefficacia. Un uomo uccide la moglie – Stefania Maritano – e si suicida. Ancora un’altra donna uccisa dal marito – Jimenez Cuadrado Yurani – e lui poi si lancia sotto un treno. Anna Maria Cultrera, uccisa dal convivente. Alexandra Buffetti, uccisa dall’ex fidanzato che subito dopo si suicida. Selmanay Fatima e la figlia Sene Ada, madre e figlia, uccise dall’ex marito e padre. Se il decreto è stato approvato per porre riparo al femminicidio direi che non c’è riuscito. Come potrebbe riuscire se non c’è un solo riferimento concreto che parli di cultura, educazione, reddito, strumenti che possano rendere indipendenti le donne prima che siano uccise? Come potrebbe se l’approccio al problema è dato anche dal fatto che, secondo quanto afferma la viceministro Guerra al sito di Quotidianosanità, “(…) la violenza produce costi economici, oltre a privarci in molti casi delle risorse che possono venire dalle donne.“?
Le “risorse che possono venire dalle donne” altro non sono che la riproduzione e il lavoro di cura, utili al welfare privatistico familiare. Perciò il decreto parla di tutela su mogli, madri, donne incinte, in una logica paternalista, così come l’ha definita la deputata Pd Michela Marzano.
Il decreto non fa cenno allo stigma sulle sex workers, le migranti, le trans. Non immagina soluzioni che riguardino quelle che non sono impegnate affettivamente e, soprattutto, non racconta come quel progetto di welfare, che ci vuole a casa a fare le “risorse” di Stato, condanni le donne alla precarietà e le pieghi al ricatto e alla totale dipendenza economica. Se una donna non ha la possibilità di emanciparsi, autonomamente, di quale “sicurezza” parliamo?
Ecco quel che il decreto invece mette in “sicurezza”: “Chi viola il divieto di entrare in siti protetti da interesse militare dello Stato è punito con detenzione da tre mesi a un anno” era già scritto nell’art. 682 del Codice penale. A questo si aggiunge il fatto che quel divieto, e la pena conseguente, si estendono a qualsiasi luogo considerato off limits “per ragioni di sicurezza pubblica”. Basta che in una città ci sia qualcuno a contestare il premier e arrivano puntuali le manganellate.
Basta violare la zona rossa dei cantieri del Tav in Val Susa, diventati siti di interesse militare, e troverai l’esercito che con il decreto riceve ulteriori compiti per provvedere all’ordine pubblico. Basta addirittura fare una foto o un filmato a quei cantieri, oramai definiti “siti di interesse strategico nazionale” e il riferimento è all’attività di spionaggio con ulteriori pene detentive. Direi perciò che la questione del femminicidio sia stata usata come pretesto per la repressione del dissenso.
Se c’è una donna che oltre a riprodursi, sostenere il lavoro di cura, ha giusto voglia di esprimere la propria opinione: con un cartello, uno striscione, la voce, anche cantando, in piazza, presso una delle zone considerate “off limits” per il libero esercizio della democrazia, quante possibilità ha di subire la violenza “domestica” e quanta invece di subire quella dello Stato?