Prosegue a distanza di giorni e a latitudini diverse l’eco delle tragedie nel Canale di Sicilia. Tema di strettissima attualità quello dell’immigrazione, non solo per l’Italia. Anche qui a Londra, nelle ultime settimane, non è raro sentir pronunciare – specie nei quartieri con elevato tasso d’immigrati – la parola storpiata “Lampaduza”.
Mi avvicino a dei ristoranti di Egware road, una via piena di locali nord africani e medio orientali a poche centinaia di metri da Oxford Circus: il cuore di Londra. Chiedo il perché a quasi 3000 chilometri di distanza si parli di Lampedusa. Rispondono alcuni camerieri: “Lampedusa la conosciamo tutti, ciascuno di noi ha un amico o parente che ha affrontato l’inferno in mare. Ma adesso sarebbe il caso di dire basta a questo massacro. La verità è che l’Europa ci vuole morti, altrimenti rubiamo il lavoro a chi nasce qui”.
Mentre in Italia si invoca l’aiuto di Barroso per affrontare l’emergenza, vengono istituite petizioni per cancellare la Bossi-Fini, e mentre Malta resta comodamente a guardare o sparare nel caso si avvicinino i barconi in fuga dalla guerra, in Inghilterra si promuovono leggi per chiudere il flusso incontrollato di immigrati. Il governo Cameron ha presentato alla Camera dei Comuni l’Immigration Bill, un documento che mira a dimezzare il flusso di clandestini nel Regno Unito. Ogni anno, nel Regno Unito la popolazione degli immigrati a lungo termine cresce di circa 175.000 unità, mentre Cameron, con questo provvedimento, ha l’obiettivo di ridurla a 100.000.
Non sta diventando più così semplice vivere qui: la residenza obbligatoria e il Nin (National Insurance Number) sono le condicio sine qua non per l’accesso al mondo del lavoro; i prezzi degli affitti sono alle stelle e non proprio accessibili a tutti i ceti sociali; il mercato del lavoro londinese, con più di 8 milioni e mezzo di abitanti, è saturo; il permesso di soggiorno per i non europei sta diventando la nuova Mecca. Se l’Italia chiede aiuto e Obama, nei mesi scorsi, ha cercato di riformare il sistema immigrazione nei rigidi Usa, i Paesi europei, nel frattempo, alzano le barricate.
Se non fosse per il Mediterraneo, l’Italia, dopo Malta, sarebbe il primo Stato confinante con l’Africa. Siamo sicuri che tutte queste difficoltà e questo ostruzionismo, un giorno, non riguarderanno anche noi Italians?
Hermes Carbone
Ventidue anni, studente messinese della London School of Journalism. Mi leggete su “Il Nuovo – Quello che gli altri non dicono” (ilnuovo.me)