Paolo Sergi, negli anni Ottanta, ha comandato i clan calabresi in Lombardia. E' accusato di omicidi, associazione mafiosa e sequestro di persona. Dal 2011 il padrino è stato scarcerarto per problemi cardiologici e vive in un comune dell'hinterland
Condanna definitiva: ergastolo. Accuse: omicidio, sequestro di persona, associazione mafiosa. Per Paolo Sergi, classe ’48, padrino della ‘ndrangheta che ha comandato su Milano e la Lombardia, le porte del carcere si aprono nel 1992. Dieci anni dopo la Cassazione conferma le sentenze di primo e secondo grado. Eppure, nonostante “il fine pena mai”, il boss, che ha diretto i suoi traffici dalla reggia bunker di via Odessa 3 a Buccinasco, dal 2011 si trova agli arresti domiciliari in un bella villetta nel comune di Zibido San Giacomo, hinterland sud-ovest del capoluogo lombardo. “E’ fuori per motivi di salute”, racconta un investigatore. “Problemi di natura cardiologica”, che, seguendo il ragionamento del tribunale di Sorveglianza di Bologna, rendono incompatibile la sua permanenza in carcere. Il fatto allarma la Procura antimafia di Milano. Anche perché, riflettono gli investigatori, la presenza sul territorio di un pezzo da novanta della mafia calabrese, se pur ai domiciliari, costituisce certamente un campanello d’allarme. Tanto più che Saverio Sergi, cognato del boss, in carcere a Opera in regime di semilibertà ha eletto come domicilio proprio la casa di Zibido. Va detto che Saverio Sergi, anche lui coinvolto nell’indagine Nord-sud per l’omicidio dell’avvocato Raffaele Ponzio, è il fratello della moglie di Paolo Sergi
Di certo il curriculum criminale di Paolo Sergi non rassicura. Nel 1992 il boss viene coinvolto nella maxi-operazione Nord-sud. E’ ‘ndrangheta alla milanese raccontata dal pentito Saverio Morabito. Sul tavolo esecuzioni, traffico di droga, sequestri di persona. In primo grado Paolo Sergi incassa sei ergastoli per altrettanti omicidi. Tra questi il più eclatante resta la duplice esecuzione di Pietro Cavallaro e Guglielmo Campodipietra uccisi il 4 luglio 1988 in via Frà Cristoforo a Milano. Quella fu una morte per droga e per non pagare una partita di 70 chili di eroina al clan dei turchi. All’epoca Paolo Sergi, assieme al fratello Francesco, è uno dei re dell’eroina. Nel 1986 abbandona definitivamente Platì per trasferirsi a Milano. Qui ritrova la sorella Rosa che si sposerà con Antonio Papalia, futuro capo della ‘ndrangheta per tutto il nord Italia (oggi ergastolano). I Sergi trafficano chili di eroina. E spesso lo fanno assieme ai siciliani di Trezzano sul Naviglio. Di più: attraverso la collaborazione del narcos Roberto Pannunzi (arrestato da latitante il 5 luglio 2013 in un centro commerciale di Bogotà) aprono una raffineria a Rota Imagna (Bergamo). Qui scambiano un chilo di brown sugar con sette di cocaina. In molti casi, poi, la morfina base viene acquistata dai turchi. Gli stessi che pretendono il pagamento e mandano Cavallaro a riscuotere. Uno sconfinamento condito da chiare minacce che la ‘ndrangheta di Buccinasco non può tollerare. Così nasce l’omicidio.
Condannato per associazione mafiosa, Sergi incassa anche ventinove anni di carcere per aver partecipato al sequestro di Cesare Casella, rapito a Pavia il 18 gennaio 1988 e rilasciato nei dintorni di Natile di Careri il 30 gennaio 1990. I primi giorni da sequestrato Casella li passa, guarda caso, a Buccinasco. Il 4 maggio 1990 la procura di Pavia dispone una perquisizione in casa dello stesso Sergi che contestualmente viene indagato. Ma già nel maggio 1987, una nota dei carabinieri di Platì lo indica “come elemento pericoloso ed appartenente alla cosca Barbaro”. Un anno dopo, la procura di Milano che indaga sulla latitanza del superboss Francesco Barbaro detto u Castanu dispone una prima perquisizione in casa Sergi.
In una nota della Criminalpol del 1992 si legge: “Paolo Sergi è dotato di spiccate capacità criminali”. All’epoca il blitz Nord-sud deve ancora scattare. Il fratello Francesco, però, è già in carcere, e Paolo, scrivono gli investigatori, “è tuttora al vertice dell’organizzazione inquisita. Per sua indole parla poco ed è per tale ragione che è temuto e rispettato in ogni ambiente malavitoso”.