Greenpeace è da mesi impegnata nella campagna “Save the Arctic”, sostenuta da stars del calibro di Thom Yorke dei Radiohead e Jude Law, per la protezione dell’ambiente artico dallo sfruttamento umano.
In questi giorni a Murmansk, a 1800 km da Mosca e non lontano dal luogo in cui si consumò il dramma del sottomarino Kursk, si sta svolgendo un vergognoso processo per pirateria contro gli attivisti di Greenpeace che, il 19 settembre scorso, sono stati arrestati dopo un’azione di disturbo contro una piattaforma d’estrazione di Gazprom in territorio russo.
Il processo, che coinvolge anche un ragazzo italiano, Cristian D’Alessandro, non ha conquistato l’attenzione che merita anche a causa della “distrazione” di gran parte dei media sul tema.
A prescindere dalle modalità con cui la protesta è avvenuta (di pirati al polo non se ne sono mai visti!) gli attivisti pongono all’attenzione la questione della tutela dell’Artide, interessante anche dal punto di vista giuridico.
Innanzitutto che cosa è l’Artide per il diritto.
Ebbene, l’Artide, è un luogo complesso, a nord del Circolo polare artico, in cui la terraferma, le isole e il mare interagiscono e si mescolano, ricoperti dai ghiacci del Mar Glaciale Artico. La difficoltà stessa nel circoscriverne i limiti geografici rivela la sua più grande fragilità: il diritto, infatti, vive di definizioni e in assenza di queste la tutela è quasi impossibile.
Il problema è che molti paesi si estendono fin dentro quell’area (Stati Uniti, Canada, Danimarca, Islanda, Svezia, Norvegia, Finlandia, Russia) e non intendono rinunciare a utilizzare quei territori, un tempo vergini, per lo sfruttamento delle risorse naturali.
Dunque l’integrità dell’Artide, i cui ghiacci si stanno riducendo a vista d’occhio a causa del riscaldamento globale, è minacciata dalla pesca intensiva, dall’estrazione di gas e petrolio, dalla sperimentazione militare e dall’interesse di creare nuove e più brevi rotte commerciali attraverso le navi rompighiaccio.
Immaginate, quindi quest’area come un piccolo villaggio indiano, che poggia sopra a un’immensa vena d’oro ed è per questo assediato da cowboys e cercatori d’oro. Quanto potrà resistere?
Molto meglio, invece, è andata al “fratello maggiore” dell’Artide, l’Antartide: la sua situazione giuridica è più chiara grazie al Trattato di Washington del 1959 e successivi protocolli addizionali. Attraverso questo trattato, in sostanza, gli stati coinvolti hanno congelato (vale la pena di dirlo) le proprie pretese territoriali sull’immenso continente, disponendo che le terre a sud del 60° di latitudine fossero luogo in cui la ricerca scientifica a scopi pacifici è libera, dove sono interdette le attività militari e dove caccia e pesca sono convenzionalmente regolamentate a finalità di tutela. Anche tale regime, certo, ha le proprie lacune: si pensi che è bastato il tentativo d’imporre, tramite la Convenzione di Wellington del 1988, il divieto assoluto di estrazioni minerarie nell’area per provocare il riaccendersi delle rivendicazioni territoriali sopite e impedendo di fatto la sua entrata in vigore.
Se l’Antartide è, ad oggi, una delle poche zone del pianeta rimaste pressoché integre, lo si deve agli accordi internazionali: una di quelle vittorie della civiltà giuridica che possono avvenire soltanto quando si ha ancora negli occhi il buio della guerra. Oggi la guerra, per molti (fortunati), è un ricordo lontano, ma l’accaparramento delle risorse potrebbe in futuro creare grossi pericoli per la pace.
Nello strano mondo del diritto, costituiscono beni le cose che possono essere oggetto di diritti, mentre esistono cose che non possono esserlo, dette cose comuni di tutti, le res communes omnium. L’Artide certamente dovrebbe essere un luogo da custodire anche attraverso il diritto, avulso dalle logiche di mercato e dalle pretese degli stati: un luogo di tutti, poiché è indispensabile per tutti, ma di cui nessuno può essere padrone.
Non è questione di pacifismo, non è anticapitalismo, di pirati neanche l’ombra: è logica scientifica, rispetto religioso per il creato e laico buon senso, per una volta insieme.