Ci sono state minacce, estorsioni, un tentato sequestro di persona, colpi di pistola, bottiglie incendiarie. Ci sono state ingerenze nella pubblica amministrazione. Ci sono bar e centri commerciali utilizzati come “uffici” per pianificare gli affari. E poi contatti con la ‘ndrangheta che conta, summit in carcere con passaggi di pizzini. Anche armi, vendute e comprate. E poi il business. Pulito per schermare il denaro sporco. Discoteche soprattutto. Società di vigilanza privata, controllate con prestanomi per infiltrarsi nella grande torta di Expo 2015. Benvenuti a Vimercate, piena Brianza, operosa, ricca, industrializzata. Benvenuti in un feudo del centrosinistra a pochi chilometri da Arcore e dalla residenza di Silvio Berlusconi. Qui, durante la Prima repubblica, regnava la Democrazia cristiana. Tangentopoli rimescolò le carte consegnando alla Lega le chiavi della città. Quattro anni appena e il Carroccio cedette il passo. Era il 1997, da quell’anno al governo c’è la sinistra.
Benvenuti, dunque. Nel paese dove finiscono in carcere i fratelli Miriadi, Giovanni e Vincenzo, figli di Assunto, ucciso dalla ‘ndrangheta nel maggio 1990. E’ il settembre 2012. E le manette scattano anche per il cugino Mario Girasole, fratello di Lara, non coinvolta nell’indagine, impegnata in politica, tra le fondatrici del Pd locale e vicina all’ex vicesindaco Roberto Rampi, oggi parlamentare del Partito democratico. Un anno fa il blitz. Accuse: estorsione e tentato sequestro di persone. Ma niente mafia. La Dia che ha fatto le indagini si raccomanda in conferenza stampa. E così sarà scritto su giornali. A distanza di un anno, l’intero fascicolo passa di mano. Dalla dottoressa Biondolillo al pubblico ministero Marcello Musso, che legge, ragiona e riformula i capi d’imputazione tutti aggravati dall’articolo 7, ovvero l’utilizzo del metodo mafioso. E al termine della requisitoria chiede pene pesantissime (fino a 27 anni) per gli imputati. Fa di più e dice: “Una prima manifestazione dell’agire del gruppo Miriadi con metodo mafioso deve essere ravvisata come condizionamento ambientale, come turbamento di un ordinario corso amministrativo-comunale”. Insomma non è necessario avere rapporti diretti e concreti con la politica, ma basta semplicemente la presenza sul territorio e la consapevolezze di questa presenza da parte degli amministratori per influenzarne le scelte. Il discorso che negli anni Novanta valeva per Mani pulite con la definizione di “dazione ambientale”, oggi vale per la criminalità organizzata. E non è certo un’ovvietà, ma un dato (questo sì oggettivo) rivoluzionario che, in parte, riesce a spiegare anche i motivi per cui tre giorni fa il Consiglio dei ministri ha sciolto il comune di Sedriano per infiltrazioni mafiose.
Per capire iniziamo da una lettera che l’allora vicesindaco Rampi scrive alla Direzione investigativa antimafia di Milano. La missiva porta la data del 22 settembre 2012. Gli arresti sono del 14 settembre. Due pagine per dire che “ho conosciuto Lara Girasole, sorella del ragazzo recentemente inquisito, diversi anni fa perché si era affacciata alla vita politica locale (…). Ero stato messo a conoscenza delle vicende passate della famiglia (…) di cui non ho mai parlato con Lara (…) Tuttavia ho sempre prestato particolare attenzione al fatto che si potessero manifestare interessi o atteggiamenti ambigui e finora non ho mai riscontrato attenzioni che riguardassero campi come quelli dell’urbanistica”. La Dia trasmette la lettera al pm con una piccola nota: “Il documento vorrebbe fornire, seppure non richieste, alcune informazioni relative a tale Lara Girasole elemento attivo nella vita politica locale”.
Al centro dell’indagine c’è un terreno conteso acquistato da Giuseppe Malaspina, imprenditore calabrese titolare della Gimal, circa vent’anni fa. Nel 2011, Malaspina intende rendere edificabile il terreno. Chiede, quindi, d’inserirlo nel Pgt attraverso un Piano di lottizzazione. Appena iniziate le trattative con la pubblica amministrazione, Malaspina viene contattato dai Miriadi. I fratelli sostengono che su quel terreno c’era materiale edile di loro proprietà. Il valore: un miliardo di vecchie lire. Vogliono il denaro. Malaspina risponde che può vendere il terreno, ma non entrare in società con loro. Nel frattempo, siamo nell’aprile 2011, iniziano i contatti con il comune. Il 26 ottobre 2011 il fratello di Malaspina sfugge a un tentato sequestro per il quale risultano imputati Girasole e uno dei Miriadi. L’imprenditore denuncia e fin da subito mette a verbale: “Ritengo di poter dire che qualcuno ha riferito alla famiglia Miriadi di tale progetto”. Dopo la denuncia all’antimafia milanese, la situazione precipita. Malaspina e le sue società subiscono diversi attentati.
Ecco, allora, il ragionamento dell’accusa che parte dalle dichiarazioni di un investigatore della Dia in aula sui verbali dell’imprenditore. “All’interno del Comune c’era qualcuno che aveva dato informazioni ai Miriadi della presentazione di questo piano di lottizzazione”. Alla base del ragionamento non c’è il terreno in sé, ma la richiesta di renderlo edificabile e così “quando hanno saputo che era stato presentato un piano di lottizzazione sono venute fuori le richieste”. Il primo incontro con la pubblica amministrazione avviene nell’aprile 2011 “poi – racconta Malaspina – ci siamo lasciati che dopo le ferie ci saremmo rivisti per vedere il dare e avere tra noi e l’amministrazione comunale”. Per il pubblico ministero il quadro è chiaro: “Esiste un nesso cronologico diretto tra pratica comunale di lottizzazione – o piano attuativo – del terreno e atti intimidatori dei Miriadi per ottenere la proprietà del terreno”.
Che succede a questo punto? Sappiamo che Malaspina non cede. Al limite è disposto a vendere. A questo punto “inspiegabilmente – prosegue il pm – il comune di Vimercate cambia rotta e comunica a Malaspina che il suo terreno non sarà più reso edificabile”. La conferma arriva in aula dallo stesso Malaspina che, va detto, non accusa nessun politico in particolare, tanto che in questa inchiesta nessun amministratore locale risulterà indagato. L’accusa riporta sempre le parole di Malaspina: “Il sindaco e l’ingegnere che mi avevano confermato il Piano si sono tirati indietro. Quella mattina il sindaco era bianco come un lenzuolo, quando mi ha chiamato e mi ha detto che non mi approvava il Pl”. La frase della pubblica amministrazione suona così: “Caro Malaspina, guarda, qui l’interesse non c’è più”.
Minacce, spari e sequestri sono tutte “condotte idonee a esercitare sugli Uffici Comunali una intimidazione propria dell’organizzazione ‘ndranghetista”. Ed è con questa chiave che il pm interpreta il senso della lettera del deputato Rampi dove “si giustificano i rapporti tra la stessa amministrazione comunale e Girasole Lara”. E’, secondo l’accusa, la prova delle consapevolezza dell’esistenza del clan. Insomma, il politico è a tal punto consapevole che “sente la necessità di prenderne le distanze”. Benvenuti a Vimercate, dove la mafia non esiste.