A volte ritornano. Antonio Bassolino sembra aver rotto gli indugi. Scende in campo e punta direttamente alla candidatura di sindaco di Napoli. E’ il mestiere che forse gli è riuscito meglio nella sua lunga carriera politica. Non è ufficiale ma i segnali sono chiari. L’“animale politico” insomma dopo tre anni esce dalla sua tana. Percepisce il momento. Sente il disorientamento crescente e il precario quadro politico locale e nazionale. E’ un balzo all’indietro. Un deja vu da brivido.
Erano gli inizi degli anni Novanta. Antonio Bassolino da commissario del Pds si candidò allo scranno più alto della città. Attorno c’erano le macerie di tangentopoli: partiti e classe dirigente azzerata dalle inchieste e dagli arresti. Al ballottaggio contro una giovanissima Alessandra Mussolini vince l’ex dirigente del Pci. Si votava con l’elezione diretta. Era la prima volta nel nostro paese. Comincia la stagione dei sindaci che porterà poi alla nascita all’Ulivo di Romano Prodi. Un primo mandato da sindaco esaltante: si parlò addirittura di “Rinascimento napoletano”. Effimero? Concreto? Agli storici l’ardua sentenza. Sta di fatto che la città cominciò a ritrovarsi, a condividere unitariamente la speranza di un nuovo inizio.
Sappiamo come è finita.
Ci sono luci, ci sono ombre fitte come tenebre. Antonio Bassolino da presidente della Regione Campania (due mandati) pur di restare in sella non ha disdegnato di esercitare la realpolitik stretto tra Ciriaco De Mita e Clemente Mastella. Non è stato un bel vedere. Incrostazioni, clientele, consulenze a go go, nascita di enormi carrozzoni, inefficienze, spreco di soldi pubblici, corsi di formazioni fantasma, sperpero di risorse europee, progetti inattuati tanto per fare ammuina. Cito solo per essere benevolo l’operato dell’assessore regionale Angelo Montemarano, un notabile della democrazia cristiana finito sott’inchiesta dalla Corte dei Conti. L’assessore bassoliniano ha lasciato un buco nero nella sanità pubblica campana.
Il rentrée di Antonio Bassolino mi fa accapponare la pelle. E’ mai possibile che la nostra città, la nostra regione, il nostro paese deve guardare con il torcicollo sempre ai giorni che furono? Cosa si deve fare per scrollarsi di dosso il passato? Cosa occorre fare per rottamare una classe politica che ha fatto il suo tempo? Cosa di buono si può costruire dall’usato sicuro? I brividi mi hanno attraversato la schiena – sabato pomeriggio – nel foyer del Teatro San Carlo. Antonio Bassolino torna ufficialmente vent’anni dopo la sua prima elezione ad affacciarsi nella “sua” Napoli. Occasione la presentazione del suo libro “Le Dolomiti di Napoli” (edito da Marsilio). Lui sussurra solo che vuole dare una mano. A chi gli chiede se anche lui un po’ come è accaduto a Palermo con Leoluca Orlando ed a Catania con Enzo Bianco voglia tornare sindaco di Napoli, Bassolino abbassa lo sguardo e risponde di altro. Sposto la prospettiva.
E penso all’Antonio Bassolino che per quattro anni è stato commissario per l’emergenza rifiuti, ai disastri di Taverna del Re, al sistema delle discariche, alla militarizzazione dei territori, alla costruzione – con quelle modalità- dell’inceneritore di Acerra, ai colpevoli e omertosi patti di desistenza politica, al silenzio nell’avvalorare pratiche di governo non proprio trasparenti, al ritrovarsi all’interno di un sistema di potere e di non aver fatto nulla per romperlo. Mi viene in mente la domanda a brucia pelo che Marco Travaglio sferrò durante una trasmissione di Michele Santoro a Bassolino: “Di fronte a questo disastro perché lei non si dimette?“. Oppure alla reazione furibonda e scomposta dello stesso Bassolino quando Bernardo Iovine di Report gli chiede conto delle inutili consulenze affidate a Tizio, Caio e Sempronio. Penso ai pesanti capi d’accusa formulati nei processi a carico di Bassolino dove mai si saprà la verità perché è scattata la prescrizione.
A Napoli davvero serve tutto questo? Certo la storia di Antonio Bassolino pretende rispetto e personalmente il rispetto è accordato. Ma la sua storia appartiene al passato che non è il futuro. E’ un film già visto. E’ un fotogramma in bianco e nero. C’è un’ultima annotazione non da poco per capire, per leggere, per decifrare ciò che si muove nella pancia di una città come Napoli e di riflesso del paese.
Non è casuale che in questo momento Antonio Bassolino esce allo scoperto. L’ex ministro del Lavoro potrebbe corrispondere a quella personalità di garanzia da molti ambienti invocata per pacificare la città. L’attuale sindaco anomalo Luigi de Magistris è una mina vagante. Non ha un partito, non ha una maggioranza fedele, non rappresenta la borghesia aristocratica e salottiera. Antonio Bassolino potrebbe avviare una grande stagione di pacificazione, concertazione e larghe e lunghe intese. Lo sosterrebbero sicuramente anche settori non proprio a sinistra e non proprio popolari. E Bassolino è già intento a rassicurare chi lo vedrebbe candidato a sindaco di Napoli nell’immediato. Perchè è chiaro che la sua discesa in campo è proporzionale alla sfilacciamento delle forze politiche che in consiglio comunale appoggiano la sgarrupata giunta dell’ex Pm.
Lo stesso Bassolino nel corso della conferenza “Il riscatto del Mezzogiorno” all’istituto “Denza” non pochi giorni fa ha parlato esplicitamente che “a Napoli occorre creare uno spirito di squadra, mettere tutti attorno ad un tavolo e condividere scelte di responsabilità al di là del colore politico”. Ricompare quel maledetto refrain che sentivo pronunciare a Bassolino nei giorni bui dell’emergenza rifiuti. Giorni tragici che hanno rubato il nostro presente e futuro e come dice il pm Antonello Ardituro, lo stesso che ha trascinato in tribunale l’ex sottosegretario all’Economia Nicola Cosentino, “Esiste una seria ipoteca posta sul futuro dei nostri figli e dei nostri nipoti in una vasta area della provincia di Napoli e di Caserta è un tema di cui le istituzioni hanno notizia e certezza da almeno 15 anni. Sentire in questi giorni alcune dichiarazioni, alcuni impegni fa ridere se non piangere”. Non aggiungo altro per ora.