Gli scontri ci sono, ma non è l’ottobre del 2011, quando Roma venne messa a ferro e fuoco. Lanci di fumogeni, pietre e bastoni contro i reparti mobili della polizia a difesa del ministero dell’Economia. I soliti gruppi di incappucciati che, quando il corteo è già partito, in via Cavour “si travisano”. Indossano felpe nere, caschi e cappucci, si staccano dal corteo e colpiscono. La prova generale la fanno nei pressi della Stazione Termini, dove si trova la sede di CasaPound, centro sociale neofascista. Ma quella è solo una sassaiola, il “grosso” degli scontri è sotto la sede del ministero più odiato. Quello dell’Economia: per le migliaia di manifestanti arrivati da tutta Italia che per due giorni hanno occupato Roma, è l’origine di tutte le politiche di austerità. Gli incappucciati vengono dispersi da una carica di alleggerimento della polizia che non spara neppure un lacrimogeno. La parola d’ordine è disperdere i violenti, non drammatizzare gli scontri, così i novelli black bloc sono costretti a sfogarsi con una sede dell’Unicredit in via Boncompagni, nei pressi di via Veneto. Sfondano la vetrata blindata della banca, poi danno fuoco ad alcuni cassonetti.
Altri momenti di tensione nei pressi delle Ferrovie e del ministero dei Trasporti. Altro luogo odiato, ma questa volta dai No Tav. Ancora una volta gli incappucciati che lanciano bottiglie e pezzi di ferro, vengono fermati dal servizio d’ordine del corteo. La scena cui assistiamo la dice lunga. Una ragazza si cala il cappuccio sulla testa, una bandana nera a coprire il volto, nel pugno un sasso pronto per essere scagliato contro le odiate “guardie”. Un ragazzo la ferma, “ma che cazzo stai a fa’?”. Lei lascia il sasso e piange. Poteva andare peggio? Forse sì se questa volta, a differenza di altre manifestazioni, non vi fosse stato un controllo mirato , sia da parte della polizia che degli stessi organizzatori di tutte le presenze sospette. I furgoni con biglie, spranghe e pietre sequestrati nelle ore precedenti, i black bloc francesi fermati il giorno prima, hanno evitato il peggio. Una bomba carta con un proiettile calibro 12 è stata lanciata contro gli agenti di guardia al ministero dell’Economia. Non è esplosa, per fortuna. Alla fine i fermati sono 15, tra di loro molti minorenni, ragazzini alla ricerca di una disperata emozione, otto i feriti tra le forze dell’ordine, con un agente ricoverato in ospedale dopo un infarto.
I “SENZA FUTURO” – Per il resto hanno avuto ragione Cobas, Usb, movimenti No Tav e No Muos, gruppi di “inquilinato resistente”, anarchici, singoli esasperati dalla crisi, immigrati (tantissimi). La manifestazione è riuscita, finita a tarda sera con l’accampamento sociale a Porta Pia. C’è una frase che può offrire una sintesi della due giorni di cortei a Roma, è quella urlata da uno speaker dal camion musicale che apriva il corteo: “Siamo tanti, la crisi ci uccide ma non siamo più soli”. Chi c’era in piazza? Erri De Luca, dice che ieri e venerdì sono arrivati a Roma quelli “del piano terra della società”. Quelli che la crisi mette definitivamente da parte, in un angolo dal quale non usciranno più, e che saranno esclusi anche da ogni eventuale ripresa dell’economia. “Siamo quelli che non contano un cazzo”, ci dice un signore sulla cinquantina che, arrivato dalla Sicilia, porta un cartello No Muos. “Crocetta – aggiunge una ragazza che lo accompagna, riferendosi al governatore siciliano – ha preso i nostri voti, poi ci ha venduto agli americani: i radar si faranno”.
Ecco, sono migliaia, uomini e donne, giovani e anziani che non hanno rappresentanza. In Parlamento non ci sono, non esistono per la sinistra, non hanno spazio nei sindacati. Ci sono gli immigrati, che quando parte il corteo quasi litigano con gli organizzatori perché vogliono la testa della manifestazione, e sono tanti. “Lampedusa peserà sulle vostre coscienze”, dicono ai microfoni delle tv. Asilo politico, lavoro, diritti, chiusura di quelle carceri senza umanità che chiamano Cie, sono le parole d’ordine. “Chi è senza futuro scagli la prima pietra”, c’è scritto sulla t shirt di una ragazza. Che spiega: “Noi siamo la generazione perduta, studiamo, prendiamo lauree, i nostri genitori si dissanguano facendoci fare master e corsi di qualificazione, e poi? Vai all’estero, ti rispondono”. Operai dell’Ilva, donne della Terra dei fuochi, quelle lande a cavallo tra Napoli e Caserta diventate una enorme discarica, occupanti delle case. “Ci hanno chiamati privilegiati, gente che non paga affitti, luce e gas – dice uno di loro – ma noi siamo quelli che non hanno i soldi per pagarsela una casa. E allora occupiamo”. Finisce così la giornata dei “senza futuro”, degli esclusi, di quelli che vogliono riconquistare un posto nella società. Finisce con una tendopoli a Porta Pia, con i poliziotti in assetto da guerra a presidiare ministero dei Trasporti e sede centrale delle Ferrovie, qualche cassonetto rovesciato, tanta birra consumata e la soddisfazione di esserci stati. Di poter dire ci siamo anche noi.
Da Il Fatto Quotidiano del 20 ottobre 2013