Nel 2013 i consumi elettrici registreranno il secondo anno consecutivo di calo. La stima corrente è di una domanda inferiore ai 320 miliardi di chilowattora (TWh) a fine anno, riportandoci all’anno 2002. Non c’è solo la crisi. C’è anche un nuovo orientamento a ridurre i consumi e a ricorrere all’autoproduzione in piccoli impianti diffusi con un crescente utilizzo di fonti rinnovabili. Questo dovrebbe suggerire una politica industriale ed energetica che il Governo non ha minimamente in testa, avendo di fatto riconfermato il consenso alla Strategia Energetica Nazionale improvvisata da Monti. Anzi, la tendenza a superare il modello dell’energia fossile è ostacolata maliziosamente attraverso i messaggi diffusi a piene mani dai media sul costo dell’elettricità. Dicono che è troppo elevato rispetto al resto dell’Europa e la colpa è della crescita degli oneri in bolletta che coprono gli incentivi alle rinnovabili.
In base ai dati RSE, la maggior parte delle famiglie italiane paga 193 euro per ogni MWh consumato, il 6,73% in meno rispetto alla media europea. Anche le industrie, che consumano quantità enormi di elettricità, pagano di meno. Il problema riguarda le imprese piccole e medie (ovvero il nerbo del nostro sistema industriale): le prime pagano ogni MWh 233 euro (+37% rispetto all’Europa), quelle che “bruciano” fra 500 MWh e 2 GWh pagano 212 euro per MWh, (+47%). È chiaro come sia la tariffa di queste imprese che vada ridotta per difendere il lavoro e questo è un problema di cui la legge di stabilità non si è concretamente occupata. È altrettanto chiaro che il costo dell’elettricità inizia dove l’elettricità viene prodotta e quindi venduta: nella borsa elettrica. In quella italiana il prezzo medio, che vale per tutti i tipi di consumatore, è più elevato di quello di Germania e Francia, perché sui mercati il prezzo lo fa principalmente la fonte marginale, che in Italia è il gas (la fonte più cara), in Germania il carbone (la fonte più sporca), in Francia il nucleare (la fonte più pericolosa).
Per abbassare il prezzo all’ingrosso eliminando la differenza di 20 euro al MWh fra noi e la Germania – a parte l’extracosto dovuto all’obsolescenza degli impianti di collegamento con le isole – o aumentiamo il numero di centrali a carbone o facciamo progressivamente diventare le rinnovabili la fonte marginale. Esattamente il contrario della politica energetica del governo in carica, che, oltretutto, avrebbe potuto togliere in bolletta costi che non c’entrano niente con i normali consumatori. Per fare un esempio, perché non tagliare i 70 milioni dati ai piccoli produttori nelle isole per usare generatori diesel, quando si potrebbe avviare un progetto di “rinnovabili 100%” in due regioni – Sicilia e Sardegna – invase dal sole e dal vento? E perché, visto l’attuale mix di fonti, non applicare al metano un’Iva inferiore al 22%? Capisco che i big europei (Eni, Enel, GasTerra, GdfSuez, Iberdrola, Rwe, E.On, Gas Natural Fenosa, Vattenfall e Cez) hanno sollecitato i governi a far pagare anche a chi ricorre a fonti rinnovabili i costi di gestione del sistema, evocando una guerra Fer-Fossili.
Ma non sarebbe ormai il caso di sostenere la generazione distribuita con regole che consentano a chiunque di vendere la produzione del proprio tetto fotovoltaico al vicino senza passare dalla rete, visto che oggi il fotovoltaico produce a 150 euro al MWh, mentre il prezzo finale via rete è di 193 euro? E non si potrebbe affidare un compito speciale alle vecchie aziende municipalizzate, più vicine ai cittadini, che invece hanno scimmiottato le grandi utility, investendo – come A2A – in cicli combinati a gas ora fermi? Infine, di cosa si occupa il Ministero dell’Ambiente se non ottiene finanziamenti certi per la definizione del piano di adattamento ai cambiamenti climatici o per un progetto di de carbonizzazione? E se perfino la Strategia Energetica Nazionale non viene sottoposta alla valutazione ambientale strategica (Vas)?
Sabato 26 ottobre 2013, per l’intera giornata, in via dei Fori Imperiali a Roma, si svolgerà un evento-manifestazione che offrirà la possibilità di conoscere direttamente come sono fatti gli impianti e poi di discutere, confrontarsi, definire scenari di sviluppo nel nostro Paese del contributo delle energie pulite e delle possibilità della riqualificazione energetica. La svolta realizzata in questi anni con oltre 600mila impianti distribuiti nel nostro Paese e oltre il 30% dei fabbisogni soddisfatti con fonti pulite non va fermata in nome di una “stabilità”, che sembra solo uno stare al palo degli interessi consolidati.