Era il 9 giugno del 2005 e Ciro Ferrara festeggiava, a Napoli, con una partita piena di tutte le “stelle del calcio” con le quali aveva giocato durante la sua brillante e lunga carriera, il suo addio al calcio. Fra quelle, arrivò in città, dopo 14 anni di assenza, la stella delle stelle, Diego Armando Maradona. Io, su richiesta di Ciro (Ferrara) – che non ringrazierò mai abbastanza – ebbi l’onere/onore di restare “nei paraggi” di Diego per gestire le esigenze (con la stampa e altro) che in quella giornata “speciale” potevano crearsi.
Chi ama il calcio, non può, tranne per che per tigna, non riconoscere che Maradona sia stato il più grande calciatore di tutti i tempi. Chi è napoletano, o con quella città ha conti aperti di odio e di amore mai saldati, non può non portarsi dentro un pezzo di vita legato a quella maglia numero dieci. Se parli con un napoletano e dici “ma te lo ricordi quel primo scudetto?”, non c’è bisogno di aggiungere altro. E’ stata la storia. Perché se è vero che è solo calcio, sport rovinato da troppi soldi e troppe manfrine, è anche vero che Maradona per Napoli è stato molto altro. E’ stato “togliersi lo scuorno da faccia”, come quella città ha sempre la smodata e disperata voglia di fare, senza riuscirci abbastanza come dovrebbe. Napoli, “meraviglioso cadavere barocco”, affidò a Maradona la propria voglia di rivalsa e lui portò a termine il compito. E fu amore. Amore vero e duraturo come poche volte, in una città tormentata e persa, succede. Perché Maradona è stato tormentato e si è perso. Ma ha regalato sorrisi e sfrenata ebbrezza come pochi, perché con la palla faceva miracoli. E non per la cocaina. Malgrado quella.
Certo, non è ai calciatori che si dovrebbe affidare il proprio “scatto d’orgoglio”. Lo ha detto, in fondo, lo stesso Maradona ieri da Fazio. Provare a spezzare, però, il legame che lega Diego e Napoli è come provare a spiegare la città guardandola solo da Posillipo o solo dai Quartieri Spagnoli. O solo dalla spazzatura, dimenticandone la cultura. Diego è parte di Napoli, nel bene e nel male, e per capirne il perché bisogna conoscere quei vicoli dove il sole non arriva mai e le terrazze assolate di Parco Grifeo. Bisogna conoscerne le vene e le arterie e non solo le pizzerie sotto casa. E non tutti hanno abbastanza occhi per riuscire a farlo.
Il 9 giugno, quando conobbi Diego Armando Maradona, conobbi un uomo gentile e simpatico. Era sopravvissuto al coma e aveva iniziato la sua seconda vita. A sera, gli chiesi di farmi gli auguri per il mio compleanno. Lo fece e, con Careca, intonò per me “Tanti auguri”. Poco meno di due anni dopo avrei lasciato Napoli, quasi come lui, in un attimo. Prima che potessi rendermene conto e fermarmi. Per questo, ieri sera, ascoltando Diego da Fazio, ho saputo meglio di altri, e come solo i napoletani hanno saputo fare, il perché di quegli occhi, a tratti, lucidi. Perché a volte bisogna assolutamente andar via e ritornare solo in maniera diversa. Ma non per questo si dimentica. Se si è molto amato.