Nei confronti dell'ex commissario straordinario per l'emergenza immondizia in Campania i pm di Napoli sono pronti a chiedere il rinvio a giudizio. Archiviate, invece, le accuse di associazione a delinquere
Per il capo della polizia, Alessandro Pansa, la Procura di Napoli vuole chiedere il rinvio a giudizio per traffico illecito di rifiuti. I fatti si riferiscono al periodo nel quale Pansa ha ricoperto l’incarico di commissario straordinario per l’emergenza rifiuti a Napoli esattamente dal luglio del 2007 fino al dicembre di quell’anno. Una decisione che emerge negli atti di un’inchiesta sulla gestione dissennata dei rifiuti in Campania, dei quali Il Fatto ha preso visione. L’indagine è quella denominata “marea nera”, che riguarda lo smaltimento del percolato, la sostanza liquida inquinata e inquinante, prodotta dallo stato di decomposizione dei rifiuti solidi urbani, in particolare la parte umida, che finiva in mare.
Secondo l’accusa, c’era una struttura organizzata che ha consentito lo smaltimento di percolato da discarica, presso gli impianti di depurazione campana, che non solo non potevano ricevere quel veleno liquido e neanche smaltirlo, ma che erano malfunzionanti e di questa carenza tecnica ne erano ben consapevoli gli indagati. I pm Paolo Sirleo e Giuseppe Noviello, che hanno scoperchiato il pentolone delle responsabilità alte sul disastro rifiuti campano, firmarono la richiesta di arresto, convalidata dal Gip collegiale nel gennaio 2011, per 14 persone. Coinvolti uomini del commissariato come Corrado Catenacci, Marta Di Gennaro, numero due di Guido Bertolaso. Tra gli indagati figurava anche Antonio Bassolino, ex presidente della Regione, insieme a dirigenti e tecnici che avevano messo su il sistema “illecito” utilizzando depuratori che si sapevano non funzionanti con il percolato che finiva in mare senza alcun trattamento.
La marea nera è il terzo troncone di indagine originatosi dall’inchiesta madre su Impregilo-Bassolino, il cui processo di primo grado è alle battute finali. Per “Marea Nera”, nel dicembre 2011 la pubblica accusa emise un avviso di conclusione indagine, firmato dai pm Noviello, Sirleo, Pasquale Ucci e dall’allora aggiunto Aldo De Chiara. Avviso che fu notificato a 41 persone, tra i quali oltre gli originari indagati figurava anche l’attuale capo della polizia Alessandro Pansa, coinvolto per tutte le ipotesi di reato per il suo ruolo di commissario all’emergenza. Il tempo è trascorso, i pm sono stati trasferiti, e si è arrivati, nel maggio scorso, a una nuova assegnazione del procedimento alla direzione distrettuale antimafia in co-delega con la procura ordinaria. E arriva la svolta.
La Procura di Napoli ha chiesto, nel luglio scorso, l’archiviazione per diversi capi di imputazione, richiesta accolta dal Gip del Tribunale in questi giorni. Per Pansa, quindi, archiviazione per il reato di associazione a delinquere perché, questo il ragionamento del giudice terzo, da un punto di vista temporale la costituzione della presunta associazione avviene prima del suo arrivo in commissariato. Insomma lui non c’era quando si decide di evacuare il percolato presso i fatiscenti depuratori. Ma dalla lettura della richiesta di archiviazione emerge l’intenzione della Procura di chiedere il rinvio a giudizio per Pansa per traffico illecito dei rifiuti. Stessa sorte anche per Guido Bertolaso e per l’ex direttore del ministero dell’Ambiente, Gianfranco Mascazzini. In particolare: “I predetti – si legge nella richiesta di archiviazione – risultano infatti aver posto in essere condotte tali da integrare il delitto di traffico organizzato di rifiuti contestato nell’avviso di conclusione indagine, e poi nella richiesta di rinvio a giudizio che questo ufficio avanzerà”.
Gli indagati, tra cui Pansa, avrebbero insomma consentito lo smaltimento del veleno prodotto da alcune discariche campane presso impianti e vasche inidonee, non ancora soggetti a collaudo. Addirittura, alcuni impianti erano sprovvisti di autorizzazione e dovevano essere chiusi. A supportare la richiesta di rinvio a giudizio, c’è anche una responsabilità e consapevolezza degli indagati per quanto emerso in fase di indagine preliminare. “I vertici – si legge – erano costantemente messi al corrente della disastrosa situazione degli impianti e delle caratteristiche qualitative e quantitative del percolato (…); gli stessi esponenti apicali disposero e consentirono il conferimento del percolato là dove non doveva e non poteva essere conferito, cioè nei depuratori regionali”.
da Il Fatto Quotidiano di sabato 19 ottobre
Aggiornato da Redazione web alle 19.15 del 22 ottobre 2013