Il capo dello Stato testimoni nel processo sulla trattativa Stato-mafia. E’ lo storico storico Aldo Giannuli a individuare l’opportunità della testimonianza di Giorgio Napolitano come richiesto dai magistrati di Palermo.
“C’è una lettera del segretario generale di Napolitano, Loris D’Ambrosio, che morì come noto per un infarto. In questa lettera, nel pieno della controversia con i magistrati, D’Ambrosio si definisce come ‘umile scriba di indicibili accordi’, una frase che ha attirato la curiosità dei magistrati che vogliono sapere un pochino meglio quale possa essere stato l’intervento della segreteria generale della presidenza della Repubblica nel processo riguardante la trattativa Stato- mafia. Per esempio se ci sia stato o meno un intervento per condizionare l’inchiesta a favore dell’ex Presidente del Senato Nicola Mancino. La magistratura può chiedere al Presidente della Repubblica di testimoniare perché – argomenta Giannulli, docente di Storia contemporanea alla Statale di Milano – è esplicitamente previsto dalle leggi che dicono le modalità in cui avviene l’audizione del Presidente. Non è tenuto infatti ad andare a Palermo, ma è la Corte che deve andare a ascoltarlo presso la sua sede, il Quirinale. Se c’è una procedura più o meno definita vuol dire che si può fare e i magistrati possono convocarlo e porgli le domande che ritengono di dovergli porre. Napolitano può anche rifiutare di andare. Il Presidente della Repubblica gode di una immunità particolare, per la quale lui è processabile solo per attentato alla Costituzione e per alto tradimento, durante tutto il suo mandato non può essere processato per altro e tanto meno obbligato a testimoniare, né si può aprire un fascicolo contro il Presidente che si rifiuti di testimoniare e neanche si può obbligare il Presidente a rispondere alle domande perché non lo si può denunciare per testimonianza reticente. Se Napolitano dovesse accettare di rendere la sua testimonianza, direbbe quello che vuole, non è assolutamente costretto a rispondere a tutte le domande. Diciamo che questo sarebbe corretto, ma non è possibile per forza di legge”. Il presidente ha fatto sapere che valuterà in attesa di conoscere il contenuto dell’ordinanza del Tribunale di Palermo.
“Qualora Napolitano rendesse falsa testimonianza o testimonianza reticente o non andasse proprio si potrebbe aprire un fascicolo processuale dopo la fine del suo mandato, ipotesi del tutto teorica e discutibile, che aprirebbe la strada a un contenzioso giuridico molto complicato. Nei fatti non esiste la possibilità di obbligare il Presidente a fare niente. Nella lettera D’Ambrosio dice ‘sono l’umile scriba di accordi indicibili’. Di che sta parlando? Sarebbe opportuno che Napolitano accettasse di andare per diverse ragioni. Un rifiuto potrebbe fare insorgere una serie di dubbi: ‘Perché non vuole andare il Presidente della Repubblica? ‘Che cosa c’è dietro?’. Nascerebbe immediatamente una ondata di sospetti e di dubbi che travolgerebbe la credibilità della presidenza della Repubblica. D’altro canto sollevare un ulteriore conflitto anche di attribuzione del potere sarebbe sgradevole: se insorgesse una questione disciplinare dovrebbe essere riferita al Csm, di cui è Presidente Napolitano stesso. I sistemi costituzionali son chiusi, razionali e completi per convenzione, o meglio: noi diamo per scontato che lo siano e che ci sia sempre una procedura giusta che risolve il problema, così non è. Le costituzioni, come qualsiasi cosa umana, prevedono anche momenti in cui non funzionano, per cui non hanno un apparato normativo adeguato al caso. Quindi tutto è solo una questione di opportunità, diciamo di fair play istituzionale per evitare di travolgere ulteriormente la credibilità della presidenza della Repubblica e della magistratura.”