“Anch’io ho qualcosa da dire”. Bella iniziativa quella promossa da Telecom in giro per l’Italia per parlare, informare, spiegare come tutelare i minori in Rete, come insegnare loro a non finire nei guai, come barattare le loro conoscenze informatiche con fiabe e altre storie raccontate dai nonni. Il progetto è partito dalla città di Genova con oltre ottanta eventi: conferenze, concerti, seminari. L’incontro di apertura si è tenuto nella palestra della scuola Diaz – oggi Istituto Pertini perché capita che ci si vergogni della memoria- per sottolineare il ruolo essenziale della scuola, di ogni ordine e grado, per rendere la Rete più sicura e accessibile.
Ci si è trovati di fronte – formatori, medici, pediatri, psicologi, giuristi, tecnici, esperti vari – alle prime classi degli istituti secondari: licei scientifici, classici, tecnici, nautici, fate voi. Studenti, dai 13 ai 15 anni che sanno ancora di scuola media. C’è chi dimostra ben più anni e si atteggia. Altri sono piccoli e lo sanno. Tutti pensano di sapere tutto, di essere immortali, immuni a tutto, impunibili. Però rimangono stupiti dall’esistenza di un tribunale dei minori. Cascano dalle nuvole quando li si informa di come i loro genitori possono essere accusati, per la stupidità dei comportamenti dei figli, di pedo-pornografia.
Sono tutti, tutti, su quella disgrazia di Facebook. Chiacchierano, taggano, pubblicano, raccolgono “amici” e chi più ne ha, più “si prende bene” senza avere nessuna idea di cosa sia l’amicizia, quella vera non quella digitale. Pochissimi, di solito lo “sfigato” della classe, quello piccolino con occhiali e aria da secchione, hanno mai letto il contratto che hanno tacitamente sottoscritto quando hanno aperto il loro spazio sui Facebook. Non sanno nulla di sexting e di grooming pur essendone vittime. Sono giovani, piccoli, scatenati. Strani. Aula Magna. In attesa dell’inizio della chiacchierata con due classi di prima: una cinquantina di ragazzi e ragazze. Solito vociare alquanto rumoroso. Si apre la porta. Entra il preside. Tutti seduti. Per un breve intervallo di tempo i decibel si riducono. Si riapre la porta, entra il relatore. Tutti seduti, leggera attenzione e si continua a chiacchierare. Entrano altri ospiti: non se li fila nessuno.
Nell’introduzione viene detto ai ragazzi che verrà una troupe della Rai a fare delle riprese; che la liberatoria è a posto; che si continuerà a chiacchierare come se niente fosse. Leggera eccitazione alla notizia. Inizia la lezione. Ragazzi piuttosto attenti. Il tema interessa. Si schiude la porta. Entra il cameraman, s’intravede il microfonista e il giornalista Rai. Piomba un silenzio totale. Con un sincronismo perfetto l’intera classe si alza in piedi! Erano anni che non assistevo a un evento del genere. Incredibile. Tutti in piedi. C’è già chi si mette in posa, chi mostra il profilo migliore. Che tristezza. L’unica autorità riconosciuta sono i media. Non il Preside, non gli ospiti. Macché! La televisione. Non in quanto tale ma come vettore per apparire, per avere 30 secondi di visibilità, per dire “mi avete visto?”. Ebbene sì, me li sono sbranati. Con affetto, ma cazziati. Così non va.