Possibile che in Italia non si riesca mai a sapere una verità che riguarda i numeri? Come alla fine delle manifestazioni di piazza, quando i manifestanti si contano in un milione e la questura sostiene che fossero non più di duecentomila… Avete ragione voi di Antigone”, ha detto il ministro Anna Maria Cancellieri qualche giorno fa durante un convegno organizzato da Antigone insieme all’università di Roma Tre. Di fronte al presidente della Corte Costituzionale Gaetano Silvestri e al capo dell’Amministrazione Penitenziaria Giovanni Tamburino – due figure in maniera assai diversa investite entrambe dal problema – il ministro della Giustizia ha sconfessato i dati del suo proprio Ministero.

A cosa si riferiva? Se cercate fra le statistiche fornite dal sito del Ministero della Giustizia, troverete che la cosiddetta ‘capienza regolamentare’ del sistema penitenziario italiano è dichiarata pari a 47.615 unità. Tanti sarebbero i detenuti che il sistema potrebbe ospitare senza divenire sovraffollato, a fronte dei 64.758 che effettivamente ci sono. Tuttavia, girando per gli istituti di pena come dal lontano 1998 siamo usi fare con il nostro Osservatorio sulle carceri, più volte avevamo denunciato come negli ultimi anni gli effetti della spending review si fossero fatti sentire anche nelle prigioni, determinando tra le altre cose una riduzione del numero dei posti letto disponibili. Accade infatti che ogni qual volta una sezione necessiti di un qualche intervento di manutenzione, non essendoci le risorse economiche disponibili per effettuarlo quella sezione venga semplicemente chiusa. I detenuti che la abitano vengono stipati nelle altre sezioni dell’istituto. Di mancato intervento in mancato intervento, i posti letto oggi inutilizzabili sono divenuti più di 10.000. Il Ministero, nelle sue statistiche, continua a conteggiarli come se fossero ancora in uso. Il ministro, invece, ha deciso pubblicamente di non conteggiarli più.

Il gap tra il numero dei detenuti e il numero dei posti è ben maggiore di quello che ci hanno fino a oggi ufficialmente raccontato. Dovrebbe sorprendere quanto poco per tutti noi questi numeri facciano differenza. In carcere si sta ammassati come animali, si calpestano costantemente i diritti inviolabili delle persone, si sconta una pena inumana e degradante. Ce lo ha detto l’Europa. Siamo costretti a crederci. Ah, a proposito: quei diritti si calpestano oltre un quinto di più di quanto ci era stato detto. Ci sono oltre 10.000 persone in più che vanno ad acuire il problema di chi vive privato del proprio spazio vitale, di chi non accede sufficientemente all’assistenza sanitaria, di chi fatica a vedere le famiglie perché spedito là dove capita. Ah, ecco. Diecimila. Un po’ come i morti a Lampedusa. Erano 200. No, scusate, erano 350. Ora arrivano altre 500 persone. Anzi, mille.

Dietro ognuno di quei 10.000 posti in meno di cui il ministro ha ammesso l’esistenza dando ragione a un’associazione contro un dipartimento ministeriale, ci sono donne e uomini in carne e ossa. A chi giova giocare sui numeri? A chi giova fare finta che le condizioni carcerarie siano meno al collasso di quanto sono nella realtà? Perché l’Amministrazione, che amministra in nome di ogni cittadino, non si limita a rendere noto con trasparenza quel che c’è, invece di esagerare su quel che non c’è? Ci piacerebbe avere risposta a queste domande.

Così come ci piacerebbe che l’Amministrazione facesse quel che le compete rispetto al sovraffollamento. Non spetta a lei cambiare le leggi ma può ben migliorare la qualità della vita in carcere, ad esempio aprendo le porte delle celle durante il giorno e organizzando una vita interna degna di questo nome. È assurdo che le persone debbano stare chiuse in celle sovraffollate a oziare sulle brande fino anche a venti ore al giorno.

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