Ogni limite legale viene sistematicamente sforato. A parità di popolazione, prendendo in considerazione le morti connesse all'inquinamento degli impianti siderurgici, il numero registrato nel capoluogo giuliano (1959 decessi) è doppio rispetto a quello della città dell'Ilva
“Il bianco panorama” della Trieste di Umberto Saba si tinge di grigio. E in città capita di ammalarsi a causa dell’inquinamento, persino di morire. Le emissioni rilevate dalle centraline in prossimità della Ferriera, lo stabilimento siderurgico da molti considerato il “cancro della città”, non lasciano dubbi. Ogni limite legale, ormai da anni, viene sistematicamente sforato. Un allarme che trova riscontro nei dati sulla mortalità, dove il capoluogo giuliano supera anche Taranto. E se la speranza è l’ultima a morire, quella nelle promesse della politica non gode di buona salute. Mentre è in atto l’ennesimo passaggio di proprietà, tocca alla presidente Debora Serracchiani promettere il risanamento ambientale: “Faremo tutto il possibile”. Ma a Servola, il rione maggiormente esposto ai fumi della Ferriera, i dubbi sono ormai più delle certezze. Nella città giuliana non esiste giornata realmente limpida: sia che la si guardi dal mare, passeggiando lungo il litorale di Barcola, sia che la si ammiri dall’altipiano del Carso, ad un passo dalla confinante Slovenia, è impossibile che l’occhio non venga catturato da un quartiere perennemente immerso in una cappa di polveri e fumo. Servola, il Tamburi di Trieste, dal 1896 ospita al suo interno un impianto siderurgico conosciuto con il nome di Ferriera; dopo più di un secolo di storia, a vederlo dal di fuori, lo si giudica poco più di un rudere.
Il progetto S.E.N.T.I.E.R.I. è stato finanziato dal Ministero della Salute. Ha analizzato la mortalità delle popolazioni residenti nei pressi dei Siti di Interesse Nazionale per le bonifiche, tra gli altri, quelli di Taranto e Trieste. Il periodo esaminato va dal 1995 al 2002, anni in cui, spiegano i servolani, la situazione non aveva ancora raggiunto gli attuali livelli di gravità. Confrontando i dati delle due città arrivano le sorprese: a parità di popolazione, prendendo in considerazione le morti connesse all’inquinamento degli impianti siderurgici, il numero registrato a Trieste (1959 decessi) è doppio rispetto a quello di Taranto (1072).
Dati allarmanti, legati a doppio filo a quelli sulla concentrazione di inquinanti nell’aria. E qui una premessa va fatta: chi si aspetta che le centraline di misurazione delle sostanze inquinanti siano pubbliche rimarrà deluso. Quelle poste nelle vicinanze dello stabilimento sono gestite, infatti, da Elettra Produzione S.r.l, società privata che proprio dalla Ferriera ottiene i gas di cokeria con cui produce energia (giovando inoltre della delibera sui CIP6 che le permette di rivendere l’energia così prodotta ad un prezzo maggiorato): un conflitto d’interessi a regola d’arte.
Fortunatamente una centralina pubblica esiste. È collocata nel giardino di un’abitazione privata, a pochi metri dall’impianto siderurgico. C’è, ma è come se non ci fosse: la centralina non è stata, ad oggi, ancora mai utilizzata dalle autorità competenti per prendere quei provvedimenti risolutivi che le leggi in materia consentono. Su di essa, fino a quest’estate, pendeva una diffida del gruppo Lucchini, proprietario della Ferriera: nel 2009 la società intimò all’amministrazione regionale di rimuoverla, contestandone l’ubicazione. Non ottenendo riscontro dalla Regione la Lucchini decise di fare ricorso al Tar, la cui sentenza è arrivata quest’estate: il ricorso, dichiarato “inammissibile”, è stato rigettato, poiché non si sono viste “quali illegittimità possano sussistere in una scelta autonoma della regione o degli enti esponenziali della regione (Arpa) di collocare una centralina in un centro abitato”, al cui interno vivono persone con eguale diritto a respirare un’aria decorosa. Da notare infatti che la centralina contestata è a 220 metri dalla cokeria (fonte principale delle emissioni di benzo(a)pirene), da cui i primi condomini distano invece appena 160 metri.
Leggendo i valori misurati dalla centralina contestata si intuisce il perché della diffida: rispetto a quelli riportati dalle altre sono straordinariamente alti e superano ogni limite legale. Per le polveri sottili PM10, associate a un aumento della mortalità respiratoria, il valore limite giornaliero nei primi nove mesi del 2013 è già stato superato 70 volte (a fronte dei 35 sforamenti tollerati annualmente); per quanto riguarda il benzo(a)pirene, cancerogeno, la concentrazione nell’aria nei primi otto mesi dell’anno – di 1,77 ng/m3 – è tale da rendere impossibile il rispetto del limite annuale di 1 ng/m3. Nel 2012 non è andata meglio: gli sforamenti delle PM10 sono stati 99, mentre il limite del benzo(a)pirene è stato superato di tre volte, avendo registrato una media di 3,4 ng/m3.
Un approccio di questo tipo, strettamente normativo, non può però descrivere fino in fondo la drammatica situazione vissuta dai servolani, negli ultimi anni decisamente peggiorata. La salute, che riguarda il benessere psicofisico di una persona, non viene alterata solamente dalla presenza di una particolare sostanza nell’aria. A questo inquinamento bisogna aggiungere quello dei terreni e dell’acqua (la Ferriera si affaccia proprio sul mare, a volte ricoperto da una sospetta schiuma bianca), il rumore delle sirene anche nel pieno della notte, la puzza di zolfo, le polveri presenti ovunque, la paura di scendere in strada. Lo stesso concetto è stato espresso in molte lettera dell’Azienda sanitaria agli enti locali. L’ennesima è stata inviata un anno fa all’assessore all’ambiente del Comune di Trieste, dove si è fatto notare come abbiano più volte evidenziato (a partire dal 2007) i “rischi per la salute umana e l’ambiente conseguenti ad inquinanti quali benzene, polveri e Ipa”. Osservando infine che “la presenza di un’esposizione a più inquinanti, anche se alcuni valori sono prossimi ai limiti di legge, rappresenta un fattore cumulativo di rischio portando ad un’aggressione all’organismo da parte di più sostanze che possono contribuire sinergicamente a determinare danni per la salute con effetti a lungo termine”.
Per la Ferriera di Trieste questo è un momento chiave: in seguito alla crisi economica della Lucchini (al momento l’impianto è in regime di amministrazione straordinaria, richiesto dall’azienda stessa in base alla Legge Marzano), l’ultima possibilità per il proseguimento dell’attività siderurgica è data dal gruppo Arvedi, che a giorni firmerà il contratto d’affitto dell’impianto per i prossimi 8 mesi, a cui potrebbe seguire l’acquisto definitivo. Al tempo stesso dovrà essere reso noto l’accordo di programma che chiarirà le condizioni alle quali il “cavaliere dell’acciaio” subentrerà nella gestione della Ferriera. Tra le altre, e voluta fortemente da Arvedi, quella di affrontare le ingenti spese di bonifica dell’area attingendo a fondi pubblici. E mentre sindacati e operai si mobilitano per scongiurare i tagli all’organico già previsti dalla nuova gestione, si avvicina una data importante.
A febbraio scadrà infatti l’Autorizzazione integrata ambientale concessa dalla Regione e senza la quale la Ferriera non potrà continuare la produzione. Ma l’impressione a Trieste, nonostante le generali condizioni e l’impatto ambientale, è che vogliano rinnovarla senza troppi inciampi. La presidente del Friuli Venezia Giulia Debora Serracchiani ci mette la faccia: “Stiamo facendo tutto il possibile per il risanamento ambientale, senza se e senza ma”. Impegno ribadito dal sindaco di Trieste, Roberto Cosolini, che sottolinea come per il Comune “l’obiettivo è garantire la continuità industriale, dentro un accordo di programma che preveda misure per il risanamento ambientale del sito”. E se l’accordo con Arvedi saltasse? “La soluzione sarebbe tutta quanta da trovare”. Insomma, nessun piano di riserva.
di Franz Baraggino e Stefano Tieri