“Il coraggio, se uno non ce l’ha, non se lo può dare“, fa dire il Manzoni al suo Don Abbondio; niente di più vero; se però il coraggio non lo si ha, si dovrebbe almeno evitare di farne sfoggio, cercare di passare invece inosservati, come avrebbe tanto voluto il suddetto Don Abbondio. Questo governo, lungi dall’avere coraggio, fa mostra di una vigliaccheria indecente, farcita di un bel cumulo di bugie propagandistiche e nel contempo si auto incensa come simbolo della ‘schiena dritta’. Per esempio, programmerebbe (userò condizionali in quanto non è detto che il Parlamento approvi la carneficina) di ridurre l’aliquota delle detrazioni dal 19 al 18 per cento. Poiché le detrazioni al 19 per cento riguardano tasse scolastiche, spese sanitarie, mutui, interessano tutti i milioni di contribuenti, ciò significherebbe andare a sottrarre con destrezza più tasse dalle tasche di tutti i cittadini; suona così un po’ stridente e anche ridicola, la dichiarazione secondo la quale la pressione fiscale scenderebbe.
La vigliaccheria di base è quella, ahimè comune a tanti governi che si sono succeduti negli ultimi venti anni, che consiste nel non avere il coraggio di distinguere; è la vigliaccheria dei tagli lineari, che tratta i dipendenti pubblici come tutti eguali, non avendo il coraggio di distinguere quelli che meriterebbero aumenti di retribuzione (altro che blocco della contrattazione) da quelli che occupano posti nati da voto di scambio e clientele varie, la vigliaccheria che ha tagliato i costi della sanità in modo uniforme sulle varie regioni senza avere il coraggio di distinguere tra le regioni che hanno ottimizzato la loro spesa da quelle che pagano i materiali sanitari e le prestazioni il triplo delle altre, la vigliaccheria che blocca genericamente le indicizzazioni delle pensioni da medie in su senza distinguere tra i pingui trattamenti di alcuni burocrati di stato e le pensioni che manco recuperano i propri contributi.
La vigliaccheria che colpisce gli inermi, esodati e pensionati, per non volere sfrondare le strutture autoreferenziali che hanno proliferato indisturbate nell’apparato dello Stato, la vigliaccheria che continua a trattare i lavoratori del privato come carne da cannone, destinata a transitare sempre di più verso gli ammortizzatori sociali mentre riserba ai dipendenti statali il privilegio di un posto di lavoro perenne anche quando divenuto – o nato – inutile, la vigliaccheria del non distinguere nei tagli tra servizi essenziali da potenziare, sanità, educazione, sicurezza e infrastrutture da un lato e burocrazia nociva, enti inutili, amministrazioni ipertrofiche, da eliminare, dall’altro. La vigliaccheria che impone balzelli indiretti al servizio di lobbies, costringendo i cittadini ad adempimenti irrazionali e nocivi, invece di usare strumenti di controllo che distinguano tra adempienti e inadempienti; la vigliaccheria, infine, che fa pagare i servizi dello Stato in base ai redditi accertati ben sapendo che ciò significa farli ripagare a chi già li ha pagati con la fiscalità.
Da questa vigliaccheria non c’è difesa ed è questa che spiega e incentiva una bella parte dell’evasione fiscale; amaramente, chi dissuaderà un pensionato che avrà la pensione decurtata del 6-7 per cento in tre anni e che non beneficerà delle nuove detrazioni, che potrà detrarre meno spese essenziali che non in passato, dal tentare di risparmiare almeno l’Iva (aumentata) sui servizi di artigiani, professionisti ecc…? Questa vigliaccheria, procrastinata nel tempo da tutti i governi, nonostante dichiarazioni roboanti quanto crescentemente ridicole, è una cancrena che ha dissolto il senso dello Stato, preparando il terreno allo scontro finale tra privilegiati e tartassati, scontro che non avrà vincitori, ma solo perdenti. Nel panorama odierno spicca come voce fuori dal coro unicamente la proposta di Sacconi mirante a un taglio delle spese mirato e più efficace; ci sarebbe però da domandargli come mai non lo intraprese o chiese da ministro del Lavoro; verrebbe da pensare che sia perché oggi, ad avere il coraggio di attuarla dovrebbe essere qualcun altro.
Neppure per il futuro, ammesso che ce ne sia uno non catastrofico, si intravedono atti di coraggio, se è vero come è vero che nessuno di coloro che si propongono come nuovi leader spende parole nel senso di un faticoso discernimento tra privilegi veri e meriti; la decurtazione dei redditi basata unicamente sul ‘quanto’ senza approfondimenti, è una posizione ideologica che va ulteriormente nella direzione di una vigliacca astinenza dal valutare il ‘come’. Ma se uno il coraggio non ce l’ha, oltre a non poterselo dare farebbe bene a rendersi invisibile, a rifugiarsi in sagrestia con la fedele perpetua lasciando ad altri più coraggiosi il compito di governare.