In quello che un giornale notoriamente amico di B. come Libero non ha difficoltà a definire a pieno titolo “il piano per rinviare la decadenza“, e perché no per affossarla in aula, un ruolo non secondario è di chi per dirla con l’ex premier Monti “vede nell’altra parte, il Pdl, un più vasto spazio elettorale”.
In pole position c’è un ennesimo esemplare del genere “torna a casa Lessie”, il Mario Mauro, attualmente ministro della Difesa delle larghe intese in quota Lista Civica, o quel che ne resta, dopo una lunga militanza in Fi e nel Pdl.
Il Monti che da Lucia Annunziata ha ritrovato, un po’ in ritardo, la voce per descrivere chiaramente il profilo politico dei troppi transfughi che aveva imbarcato in Scelta Civica e l’infelice scelta dell’alleanza con Casini ha precisato che Mauro “l’aveva pregato in ginocchio di entrare nel partito” che stava fondando.
Ed evidentemente Mauro aveva ed ha un obiettivo di lungo, lunghissimo periodo riguardo il governo di larghe intese. Una prospettiva secondo lui fondata “sulla capacità di sacrificare gli interessi di Pd e di Pdl per un’idea più grande” e, per non lesinarsi paragoni adeguati, in un’intervista del 21 settembre su La Stampa paragonava “la sua riflessione” alla “linea politica di Moro nel tempo drammatico del terrorismo”.
Figuriamoci se un tale statista, degno compagno di navigazione di lungo corso di Pierfurby, può anche solo pensare di compromettere un siffatto progetto per votare la decadenza di un delinquente, condannato in via definitiva, secondo la legge che meno di un anno fa avevano votato tutti appassionatamente con Angelino, allora vessillifero del partito “degli onesti”.
Analogamente a quanto aveva fatto Fini, il professor Monti si è accorto con un ritardo difficile da recuperare che il partito, se mai è stato sotto il suo controllo, gli è sfuggito di mano verso le più ampie praterie berlusconiane, sempre allettanti anche nella guerra di riposizionamento interno.
Ha riconosciuto senza le perifrasi a cui ricorreva quando era “Super Mario” che aver imbarcato Casini non è stato propriamente apprezzato dagli elettori, e ha aggiunto “non a torto“; ha stigmatizzato la capitolazione sull’Imu del governo Letta/Brunetta; ha dichiarato che la decadenza di Berlusconi è prevista dalla legge Severino e che non vi sono motivi plausibili per non votarla.
Al di là delle valutazioni sulla sua “abilità” di politico e sul suo governo di “servizio”, sempre meno subdolo dell’attuale, quello che desta maggiore fastidio e, a tratti disgusto, sono le reazioni inviperite, di scherno e di commiserazione per il Monti senza potere e senza partito da parte dagli stessi che l’hanno osannato come salvatore della patria.
Il bocconiano che finalmente parla chiaro e si dissocia dalla palude tardo-democristiana che vuole prolungare il ventennio berlusconiano con l’accanimento terapeutico caro ai ciellini Mauro & co. non viene ridicolizzato solo da Libero “Monti dalla Bocconi ai bocconcini (amari) di Empy”, che ha sempre usato toni irridenti nei suoi confronti.
Dalla stampa allineata con varie sfumature alle larghe intese e avvinghiata al “governo del fare” di Letta, per non parlare della tv, è tutta una gara a prendere le distanze dallo “sfogo” di un perdente “deluso”, dimesso dal suo partito e approdato al gruppo misto, e a metterlo sullo stesso piano del duo dei “responsabili di lungo corso” Casini-Mauro che “devono ancora decidere sulla decadenza di Berlusconi”.
In questo paese il peggio deve sempre arrivare e in un arco di tempo più breve del previsto abbiamo visto che dopo Monti c’è qualcosa di più deteriore e meno trasparente e che l’ipocrisia ed il paraculismo politico-mediatico vanno oltre i confini della realtà.