La vicenda di Silvio Scaglia, il manager e azionista di Fastweb – insieme ad altre cinque persone coinvolte nella medesima odissea giudiziaria, imprigionati e tenuti per più di un anno tra patrie galere e arresti domiciliari e poi assolti «per non aver commesso il fatto» – come molte altre disgrazie italiane non dovrebbe lasciarci indifferenti e dovrebbe portarci a chiederci: come è potuto accadere? Cosa è possibile fare per impedire che in futuro altri fatti del genere si ripetano?

Detto francamente – a scanso di equivoci – non ho mai avuto nessuna simpatia verso Silvio Scaglia; non faccio parte della schiera di quanti, improvvidamente, sottoscrissero un appello a suo favore dopo l’arresto. Mi è sempre sembrato uno di quegli uomini molto abili, soprattutto nel promuovere la propria carriera, spesso a scapito delle aziende dalle quali sono passati, che dopo il loro passaggio in genere non sono mai più ricche di prima, al contrario del portafoglio di alcuni di loro. In genere manager cresciuti all’ombra di McKinsey.

Lo confesso, mea culpa, sarei stato uno di quelli, che davanti a un’eventuale condanna era pronto a dire, «finalmente!», perché lo ritenevo, sbagliando e senza conoscere i dettagli, potenzialmente colpevole. Oggi le mie considerazioni sono quindi ispirate a tutt’altro, non certo ad affinità «culturali» con la vicenda. Ovviamente e a maggior ragione sono particolarmente felice per loro e per quanti come loro riescono – contro ogni pronostico – a dimostrare la propria innocenza e – speriamo – ad ottenere i giusti risarcimenti. Ancor più sono contento per la giustizia in Italia, che tra molte difficoltà, grazie all’assoluzione delle involontarie vittime, guadagna la fiducia dei cittadini oltre che la propria. Ma non è questo il punto.

Resta infatti una questione di fondo, la galera gratis non è una gran bella cosa. Come è potuto succedere e cosa fare per evitare che si ripeta?

Il problema è che la Magistratura, così come è strutturata ora, non è in grado di affrontare, comprendere e sanzionare gran parte dei reati economici. Questo è il nodo della questione. La maggior parte dei reati economici richiedono una conoscenza dei meccanismi dell’economia e della finanza, che i magistrati non possono avere, per il semplice fatto che che la loro formazione ha escluso lo studio di questi fenomeni, che tra l’altro sono in continua evoluzione e quindi richiederebbero in ogni caso un aggiornamento permanente. In tal modo, solo magistrati che accettino di sottoporsi a faticosi approfondimenti delle tematiche economiche, hanno qualche possibilità di comprendere la natura dei fatti che sono chiamati a giudicare, perché l’opera dei consulenti, per quanto importante, è spesso insufficiente e addirittura in grado più di sviare che di indirizzare l’opera del magistrato. Il risultato è che nei reati economici l’esito dipende troppo dalla preparazione personale del giudice e la difformità di giudizio è all’ordine del giorno.

Voglio fare solo un caso semplicissimo. A proposito di derivati, lo stesso tipo di contratto, con importi differenti, fu sottoscritto da Merril Lynch con il Comune di Verona e la Regione Puglia. I medesimi consulenti furono utilizzati dalle Procure che avviarono le indagini, e questi periziarono nella stessa direzione, sostenendo la presenza di costi impliciti imprevedibili al cliente, ma noti alla banca e quindi la natura truffaldina dei contratti di derivati. Risultato: la Procura di Bari, con il procuratore Francesco Bretone, perseverando nell’azione penale, riuscì a recuperare, attraverso un accordo extragiudiziale, ben 200 milioni alle casse della Regione Puglia; al contrario il procuratore di Verona, Giulio Schinaia, di fronte alla medesima situazione, archiviò la denuncia e il comune scaligero rimase con un pugno di mosche.

Non tutte le Procure, sempre con riferimento al caso dei derivati agli enti pubblici – hanno adottato la stessa metodologia perseguita dal Procuratore Aggiunto di Milano, Alfredo Robledo, cioè, lavoro, lavoro e poi ancora lavoro, potendo così arrivare alla condanna degli istituti che avevano proposto ai comuni swap e giochetti del genere, lucrando sulla asimmetria informativa tra le parti.

Detto altrimenti, appare chiaro che la Giustizia, non sempre riesce a mettere una pezza alle sue carenze strutturali, attraverso l’applicazione dei singoli magistrati, e questo è il motivo per cui alcuni finiscono in galera, altri ci restano, altri ancora vengono assolti e scarcerati. In ogni caso, resta quella che per la giustizia è la maggiore delle contraddizioni, la disuniformità di valutazione, che oltre certi limiti deve essere sanata, perché non esistono cittadini di serie A e cittadini di serie B.

È quindi necessario provvedere, ad esempio istituendo all’interno della Magistratura un corpo speciale di magistrati, specializzati esclusivamente nei reati economici, che con la loro preparazione ad hoc, con l’accesso comune a banche dati internazionali e con la disponibilità strutturale di esperti qualificatissimi, non più consulenti, ma dipendenti del Ministero della Giustizia, possano ovviare – per quanto possibile – il ripetersi di clamorosi abbagli come nella vicenda di Scaglia e delle altre persone che hanno avuto la vita rovinata da una errata valutazione delle loro responsabilità penali.
 

 

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