In uno splendido discorso, sabato a Bari, il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco ha spiegato perché la battaglia per la crescita in Italia è persa. Bastano questi dati Istat citati da Visco: tra 1997 e 2011 la spesa media delle famiglie italiane è rimasta stabile, ma quella per la cultura (dal cinema ai libri alle manifestazioni sportive) è crollata del 21 per cento. La quota di famiglie che dichiarano di comprare libri non scolastici è in calo: sono l’8 per cento (gli editori si lamentano, ma potevano pensarci prima di strozzare il mercato on line con la legge Levi che ha limitato gli sconti, tutelato le librerie ma diminuito gli acquirenti).
Per competere sul mercato del lavoro non basta aver studiato, bisogna continuare a formarsi: secondo una recente indagine dell’Ocse il 70 per cento degli italiani adulti non è in grado di capire testi lunghi e coglierne i contenuti importanti, la media Ocse è il 49 per cento.
Non è difficile capire perché: nel 2012 oltre metà della popolazione italiana non ha letto alcun libro. Qualcuno sostiene che con la cultura non si mangia, e nel breve periodo è vero.
Ma Visco ci ricorda che sul “capitale umano” si può investire, come si fa in Borsa o nel mercato immobiliare: “Si stima che un programma prescolastico statunitense dei primi anni Sessanta, indirizzato ai bambini afro-americani di tre anni, abbia avuto un rendimento annuo compreso tra il 7 e il 10 per cento”, meglio pagare gli studi a questi bambini che mettere i soldi a Wall Street.
Anche Visco, ovviamente, sa che accrescere il capitale umano richiede scuole più efficienti, personale scelto per concorso, imprese più grosse con le risorse per formare continuamente i dipendenti, un governo che aiuti a riqualificarsi i disoccupati. Ma in assenza di una crescita che cala dall’alto, sarebbe ora di favorirla dal basso.
@stefanofeltri
Il Fatto Quotidiano, 23 Ottobre 2013