Al termine di un'inchiesta su truffe nell'organizzazione di funerali sono finiti ai domiciliari cinque necrofori. Tre di loro estraevano senza permesso dalle salme dispositivi sanitari
”Domani ‘apri’ tu?”, ”No tocca a me, vado io”. ‘Aprire’ significava sezionare i cadaveri composti nell’obitorio di Pesaro, prelevare pace-maker e protesi sanitarie per farne chissà cosa, e a volte anche pezzetti di organi e tessuti. Poi, ai parenti sconvolti dal dolore o impreparati a quel genere di incombenza, si offriva la vestizione del defunto – scarpe, vestiti, rosario da infilare fra le dita – al costo di 500 euro, pilotando anche la scelta dell’impresa di pompe funebri.
Non è un film di Tim Burton: è quanto accadeva davvero, secondo la Guardia di finanza, nella camera mortuaria dell’Ospedale San Salvatore di Pesaro, oggi Azienda Ospedaliera Marche Nord. Due anni di indagini hanno portato a disporre la misura cautelare degli arresti domiciliari per quattro infermieri necrofori del nosocomio e per un quinto, dipendente del Comune, distaccato all’Ao in forza di una convenzione fra i due enti. Quattro uomini (tutti originari della Campania) e una donna, indagati insieme ad altre 29 persone tra medici, impresari funebri e addetti alla multiutility Aspes per reati che vanno dal peculato alla truffa aggravata, dalla rivelazione di segreto d’ufficio all’esercizio abusivo della professione medica. Tre dei necrofori sono anche accusati di avere eseguito le spoliazioni non consentite delle salme.
Cinquecento euro per ciascun corredo funerario, dai 100 ai 500 euro per ogni funerale procacciato: i necrofori arrotondavano la busta paga con entrate extra mensili fino a 10 mila euro. Nelle loro abitazioni i finanzieri del Nucleo di polizia tributaria hanno sequestrato un vasto campionario di calzature, cravatte e abiti appropriati per l’ultimo addio al mondo, mentre resta ancora da capire se dietro l’espianto degli stimolatori cardiaci si nasconda un traffico di pace-maker usati. In assenza di una legislazione nazionale, in quasi tutti gli ospedali italiani – Pesaro compresa – questo tipo di apparecchio viene rimosso solo dalle salme destinate alla cremazione, per evitare possibili interferenze con i forni crematori e la pietra refrattaria. Ma ad eseguire l’operazione deve essere un medico anatomo-patologo, non un necroforo. Qui invece, stando alle intercettazioni agli atti dell’inchiesta, coordinata dal pm Sante Bascucci, gli addetti alla camera mortuaria operavano come una vera task force ‘taglia e cuci’, anche a domicilio, senza risparmiare in iniezioni di formalina per “abbellire” le salme.
“Un fatto grave, inqualificabile, sul quale agiremo con determinazione” commenta l’assessore regionale alla Salute Almerino Mezzolani, che ha chiesto ai vertici dell’Ao e dell’Asur “relazioni dettagliate entro domani” e non esclude una costituzione di parte civile. La Marche Nord spiega di aver allontanato dal servizio i necrofori (da oggi sospesi) a inizio 2013, avviando anche un procedimento disciplinare. Ma da più parti fioccano richieste di dimissioni, e i dubbi degli investigatori del colonnello Francesco Pastore riguardano anche il ruolo dei medici, se non compiacenti, negligenti. Già nell’agosto scorso, dieci medici in servizio fra Fano e Pesaro, fra cui sei necroscopi e due medici di famiglia, erano stati denunciati per falso ideologico: avrebbero firmato certificati per l’inumazione delle salme senza effettuare la visita necroscopica, che serve fra l’altro ad accertare l’eventuale presenza di infezioni o inquinamento, anche radioattivo, dei cadaveri. Forse, i necrofori alla Frankenstein sollevavano i camici bianchi da un lavoro poco gradevole, o forse c’era uno scambio di favori. L’inchiesta ‘Lazarus’ non è finita.