Dalla legge 30/2003 (la famosa “legge Biagi”) ad oggi di riforme e novità normative in tema lavoro ce ne sono state in abbondanza. Ma il problema lavoro non solo non sembra risolversi, anzi molte riforme e novità creano attriti e polemiche tra classi politiche e lavoratori. Basti pensare agli ultimissimi anni, con le riforme che hanno generato gli esodati ed i tanti incentivi “assunzioni” che proprio non paiono funzionare. 
Perché la politica non riesce a dare una risposta al problema occupazionale?

Provo a dare una risposta dopo aver analizzato attentamente tutte le riforme degli ultimi dieci anni ed i relativi effetti. E provo a farlo con un semplicissimo esempio.
Mettiamo caso che sul mercato vi siano 100 potenziali posti di lavoro e 150 persone disposte ad occuparli. Ebbene quello su cui si sono concentrate le riforme e politiche del lavoro è trovare (in maniera più o meno condivisibile, ma per ora non è questo il punto) il miglior modo possibile per distribuire i 100 posti. Dato che comunque 50 persone restano fuori, ecco la carta “flessibilità”, intesa come far “girare” i lavoratori nei 100 posti disponibili. Il modello è “oggi lavori tu, domani dato che siamo flessibili stai a casa e tocca a me”. Peccato che in questo modo non si possa più parlare di flessibilità bensì di precariato (flessibilità e precariato sono spesso usati come sinonimi anche dai dirigenti politici e sindacali… ma sono l’una il contrario dell’altro).

Ed arrivano poi le pressioni da parte delle associazioni di categoria o anche dalle semplici letture delle statistiche Istat: la disoccupazione giovanile è alta, i lavoratori maturi (magari esodati) fanno fatica a reinserirsi, le donne non sono abbastanza tutelate, al sud non ci sono soldi per assumere, etc… E così partono (o meglio si improvvisano) incentivi alle assunzioni per le svariate fasce di età, di sesso, di residenza, etc… Incentivi abbastanza inutili in quanto favorendo tutti alla fine non si favorisce nessuno. Per essere ancora più chiaro, sarebbero ottimi gli incentivi per assunzione di under 35, ma solo se tutti gli over 35 felicemente lavorano. Ottimi gli incentivi per favorire le donne, ma solo se nel campo “maschile” la disoccupazione ed il precariato sono parole sconosciute… Così ovviamente non è. Quindi non si fa altro che tirare una coperta troppo corta da una parte e dall’altra. Molti (tanti in realtà) restano comunque scoperti.
Si arriva poi ai confini del ridicolo: secondo le statistiche i giovani sotto i 30 anni che hanno solo la terza media faticano a trovare lavoro? Ecco la soluzione con l’incentivo alle aziende che assumono giovani senza diploma. Nessun commento all’efficacia dell’iniziativa, ma quale altro Paese nel mondo penalizza i giovani che hanno studiato rispetto a quelli che hanno lasciato gli studi appena dopo l’obbligo scolastico?

Ma allora quali potrebbero essere le soluzioni a questa situazione?

Una buona riforma del lavoro può funzionare solo se integrata con una buona riforma sociale, economica e fiscale. In pratica bisogna fare prima in modo che quei 100 posti disponibili diventino 150 e poi sarà facilissimo con le normative sul lavoro sbizzarrirsi per occupare i 150 posti nella maniera più equa ed ottimale possibile (e li si che si potrebbe far funzionare la flessibilità). Rendere l’economia italiana competitiva con quella internazionale, ecco il punto. Le modalità ci sono e non sono nemmeno difficilissime da attuare, ecco qualche esempio: puntare su sviluppo di cultura e turismo (le “basi” di partenza sono tra le più invidiabili al mondo ed è scandaloso non approfittarne), rendere il sistema fiscale e della giustizia civile più chiaro e competitivo con l’Europa (ora come ora le aziende straniere rifuggono l’Italia e questo non deve accadere), incrementare la banda larga e la connettività di imprese e cittadini con conseguenti investimenti nelle start-up tecnologiche, tagli degli sprechi (almeno quelli più evidenti e sotto gli occhi di tutti).

Possono sembrare soluzioni ovvie e banali, ed in effetti un po’ lo sono, ma allora perché non vengono attuate? La prima risposta che mi viene in mente è che per quanto banali e spesso discusse tutte le migliori soluzioni per ottimizzare l’economia ed il lavoro necessitano di interventi di medio–lungo periodo (5 anni almeno). Mentre invece i termini politici su proposte e soluzioni sono a pochi mesi al massimo e si arriva agli estremi per le riforme con le classiche “misure urgenti per l’occupazione”, “misure urgenti per la crescita del Paese”, etc… E no! Così non funziona, purtroppo di fretta e di urgenza si crea solo danno e confusione o (a voler pensar male) si cerca di garantirsi voti per imminenti elezioni.

AAA Statisti cercasi per costituire classe politica di lungo respiro che possa dare sviluppo all’economia ed al lavoro del nostro Bel Paese. Candidati, fatevi avanti.

Marco Fattizzo

 

___________________________________________________________________________

Il blog Utente Sostenitore ospita i post scritti dai lettori che hanno deciso di contribuire alla crescita de ilfattoquotidiano.itsottoscrivendo il nuovo abbonamento Utente Sostenitore.

Tra i post inviati Peter Gomez e la redazione selezioneranno quelli ritenuti più interessanti. E ogni giorno ne pubblicheranno uno. Questo blog nasce da un’idea dei lettori, continuate a renderlo il vostro spazio.

Se vuoi partecipare sottoscrivi un abbonamento volontario. Potrai così anche seguire in diretta streaming la riunione di redazione, mandandoci in tempo reale suggerimenti, notizie e idee, sceglierai le inchieste che verranno realizzate dai nostri giornalisti e avrai accesso all’intero archivio cartaceo.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Reddito garantito: 1.300 euro al mese in Danimarca, 460 in Francia. La mappa

next
Articolo Successivo

Decreto Pa, Brunetta: “Per me può decadere”. A rischio 120mila posti

next