Filippo Ferri, condannato a 3 anni e 8 mesi di carcere per il massacro della scuola Diaz, dovrà seguire il fenomeno rossonero fuori dal campo e placarne eventuali comportamenti che vadano a danno del giocatore e del club di via Turati
Da ieri il Milan ha affiancato a Mario Balotelli in qualità di tutor l’ex poliziotto Filippo Ferri, con il compito di seguirlo fuori dal campo e placarne eventuali comportamenti che vadano a danno del giocatore e della società rossonera. Peccato che Ferri non sia un ex poliziotto qualsiasi, ma uno dei venticinque condannati in cassazione nel luglio del 2012 per i fatti della Diaz. In quell’occasione Filippo Ferri è stato condannato irrevocabilmente a 3 anni e 8 mesi di carcere e a 5 anni di interdizione dai pubblici uffici. Per questo ha dovuto dismettere la divisa, trovando però immediatamente un appoggio nella società rossonera che nemmeno tre mesi dopo lo ha assunto come capo della sicurezza interna. E oggi gli ha affidato le sorti di Balotelli.
Figlio dell’ex segretario del Psdi ed ex ministro dei Lavori Pubblici Enrico Ferri – quello del limite di velocità di 110 km/h in autostrada per intenderci – Filippo Ferri durante i fatti del G8 era a capo della mobile di La Spezia. Ed era stato nel frattempo promosso a superpoliziotto a Firenze quando è arrivata la sentenza di condanna, che la Cassazione ha motivato così: “Per l’odiosità del comportamento di chi, in posizione di comando a diversi livelli come i funzionari, una volta preso atto che l’esito della perquisizione si era risolto nell’ingiustificabile massacro dei residenti nella scuola, invece di isolare ed emarginare i violenti denunciandoli (…) avevano scelto di persistere negli arresti creando una serie di false circostanze, funzionali a sostenere così gravi accuse da giustificare un arresto di massa, formulate peraltro in modo logico e coerente, tanto da indurre i pm a chiedere, e ottenere seppure in parte, la convalida degli arresti”.
Una sentenza arrivata a oltre 11 anni dai fatti, e che si è basata sul reato di falso aggravato – in relazione ai verbali di perquisizione e arresto ai carico dei manifestanti, rivelatisi pieni di accuse infondate – solamente perché era l’unico reato che nel frattempo non era andato prescritto. Una condanna per falso aggravato che si riferisce però a una delle pagine più buie della storia italiana. Quel blitz alla Scuola Diaz di Genova del 21 luglio 2001 che secondo i giudici che hanno letto in aula la sentenza “ha gettato discredito sulla Nazione agli occhi del mondo intero”. Un blitz dove per poco non ci fu un secondo morto, il giorno dopo l’uccisione di Carlo Giuliani, con un drammatico bilancio di 93 arrestati di cui 61 feriti portati in ospedale: tre in prognosi riservata e uno, il giornalista britannico Mark Covell, in coma. Agli altri 19 arrestati andò pure peggio, dato che furono trasferiti alla caserma di Bolzaneto.
Un massacro che Michelangelo Fournier, nel 2001 a Genova come vicequestore aggiunto del primo Reparto Mobile di Roma, definì come “una macelleria messicana” e Amnesty International “la più grave sospensione dei diritti democratici in un Paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale”. Eppure la dirigenza del Milan proprio a uno dei responsabili di questo massacro ha deciso di affidare il proprio gioiello, con il compito di seguirlo e la convinzione che sappia riportarlo sulla retta via. Forse, nei pensieri di Galliani, entrambi potrebbero andare una sera al cinema e vedere il film di Daniele Vicari “Diaz, Don’t Clean Up This Blood”. E magari consigliarne la visione a tutta la squadra.