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Ricerca e innovazione, l’Europa le sostiene. Ora tocca all’Italia

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Nella ricca agenda di lavori del Consiglio europeo, che si apre oggi 24 ottobre a Bruxelles, un capitolo centrale è dedicato al tema della ricerca e dell’innovazione. Sul tavolo dei Capi di Stato e di Governo dei paesi dell’Unione sarà affrontato infatti il progetto di una “Maastricht della ricerca” e il completamento del Ser, lo Spazio europeo della ricerca, dove ricercatori e ricercatrici si possano muovere liberamente, senza barriere amministrative o normative, attraverso, ad esempio, l’unificazione o almeno il coordinamento dei sistemi contributivi e pensionistici. La realizzazione del Ser arriva oggi con oltre vent’anni di ritardo da quando l’allora Commissario europeo per la ricerca Antonio Ruberti ebbe il merito di gettarne le basi, immaginando uno spazio comune del sapere e della conoscenza che è la merce più preziosa che abbiamo. Il progetto rimase dormiente per qualche anno e fu rilanciato dal commissario Busquin con il Settimo Programma Quadro, delle cui linee guida fui relatrice al Parlamento europeo.

Nel 2005-2006 la crisi era ancora lontana e riuscimmo a ottenere per il Settimo Programma un aumento pari al 40 per cento dei fondi rispetto al precedente. Erano gli anni in cui credevamo ancora che gli investimenti nella ricerca potessero raggiungere il 3 per cento del Pil europeo entro il 2010, in un rapporto di 2 a 1 tra privato e pubblico. Purtroppo quelle attese sono rimaste deluse. Anzi la crisi economica e le politiche di austerità hanno avuto un drastico impatto sul livello degli investimenti pubblici in ricerca e innovazione, che nel 2013 sono crollati allo 0,72 per cento del Pil europeo.

Oggi finalmente il tema torna con prepotenza all’ordine del giorno, ma parlarne non basta. Per questo ho chiesto al presidente Letta di battersi in Italia e in Europa per trovare più fondi da destinare alla ricerca. Non è un’azione velleitaria, al contrario il sacrificio di oggi si tradurrà in sviluppo e competitività, ma soprattutto in occupazione per i giovani. Puntare sulla ricerca significa dare loro una speranza, significa che c’è un futuro. So bene quali sono le nostre condizioni di bilancio e so altrettanto bene che reperire le risorse non sarà facile.

E’ la solita vecchia storia che si ripete per tutti i capitoli di spesa e che si ripeterà fino a quando non cambieremo il tipo di approccio. E’ chiaro infatti che fino a quando i ministeri avranno un loro singolo capitolo di spesa nessun ministro sarà mai disponibile a fare dei tagli. Ed è altrettanto chiaro che nessuno è in possesso della ricetta magica secondo la quale basta tagliare da una parte per avere dei risultati dall’altra. E’ necessario quindi dire con chiarezza quali sono le nostre priorità, a costo di risultare impopolari, trovando quel coraggio che troppo spesso manca. E la ricerca, producendo competitività, innovazione, sviluppo e occupazione, è la priorità delle priorità.

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