Sono passati vent'anni dalla messa al bando del materiale che ha già ucciso e fatto ammalare centinaia di marinai. E che dovrebbe essere stato rimosso con operazioni di bonifica costate almeno 30 milioni di euro
Allo stato maggiore della Marina militare sono molto concentrati sul rinnovo della flotta navale (la nuova legge finanziaria stanzia 6,8 miliardi a tale scopo per i prossimi vent’anni), ma nessuno sembra preoccuparsi della tutela della salute delle migliaia di marinai imbarcati sulle vecchie unità ancora in servizio, e che rimarranno operative per diversi anni.
Navi ancora infestate di amianto, vent’anni dopo la messa al bando di questo materiale che ha già ucciso e fatto ammalare centinaia di marinai nel silenzio omertoso dei passati vertici della Marina (che per questo sono stati recentemente rinviati a giudizio dalla Procura di Padova) e che dovrebbe essere stato rimosso con operazioni di bonifica costate almeno 30 milioni di euro. Invece su alcune navi l’amianto c’è ancora, come dimostrano queste foto ottenute in esclusiva dal fattoquotidiano.it, scattate recentemente all’interno di una fregata classe Maestrale come quelle oggi impiegate nell’operazione “Mare Nostrum“.
L’amianto è ovunque, segnalato con adesivi e messo “in sicurezza” con sistemi isolanti del tutto inadeguati secondo il capitano di vascello Alessio Anselmi, ex presidente del Cocer Marina, per anni impegnato in questa battaglia: “Tutte le coibentazioni in amianto sono ancora lì, semplicemente isolate con sigillanti che possono andar bene per le tubature di una caldaia domestica, ma che sono assolutamente inadeguate su una nave sottoposta a continue e intense vibrazioni dovute ai motori, per non parlare di quelle causate dallo scoppio delle artiglierie durante le esercitazioni: la probabilità che questi rivestimenti si crepino e particelle di amianto circolino nel sistema interno di ventilazione è altissima. E’ scandaloso che navi in servizio vengano tenute in queste condizioni: andavano e andrebbero urgentemente e realmente bonificate”.
Per Luca Comellini, segretario del Partito per la tutela dei militari, “il modo approssimativo e superficiale in cui viene gestito il gravissimo problema dell’amianto sui mezzi militari, navi, elicotteri e non solo, dimostra che la disattenzione della Difesa per la salute del personale va ben oltre il menefreghismo. I dipendenti della Marina militare non solo non hanno un vero sindacato che ne tuteli i diritti, ma sono considerati lavoratori di serie b anche dalla legge: la 183 del 2010 ha introdotto una deroga alle norme in materia di sicurezza sul lavoro per chi è impiegato sulle navi militari, al preciso scopo di tutelare i vertici della Marina accusati per le morti da amianto”.