Politica

Province: uscite dalla porta, rientrate dalla finestra?

Dalla sentenza 220/2013, con la quale la Corte Costituzionale aveva dichiarato l’incostituzionalità dell’abolizione delle Province per decreto legge, il governo Letta ha tratto immediatamente le proprie conclusioni sulla vicenda istituzionale delle province, presentando due interventi paralleli. Il primo, proposto all’indomani della sentenza della Consulta, consiste nuovamente nell’abolizione delle Province, ma stavolta con un disegno di legge costituzionale che quindi prevederà un iter di approvazione più dilatato nel tempo e con maggioranze aggravate (come stabilito dall’articolo 138 della Costituzione). Il secondo disegno di legge – il cosiddetto ddl Delrio, presentato alla Camera dei Deputati lo scorso 20 Agosto e ancora in esame in Commissione Affari Costituzionali – introduce la disciplina transitoria per le Province fino alla loro abolizione, e per la creazione delle città metropolitane, le unioni di comuni e la fusione di comuni. Qui cercherò di dare un quadro unitario dei due interventi legislativi, guardando al nuovo testo costituzionale, al futuro assetto istituzionale dei nuovi enti locali (città metropolitane e unioni di comuni) e alle funzioni di questi enti.

Per quanto concerne la nuova bozza delle disposizioni costituzionali, il punto fondamentale è evidentemente il nuovo elenco di enti costitutivi della Repubblica: se in precedenza le province e le città metropolitane avevano pari dignità nei confronti di Stato, regioni e comuni, nella bozza le province sono abolite e le città metropolitane hanno un trattamento riservato (al terzo comma dell’articolo 114) non più come ente costitutivo della Repubblica. Il nuovo assetto istituzionale resta comunque garantista nei confronti del principio di autonomia sancito dall’articolo 5 della Costituzione, con la presenza di comuni, città metropolitane e Regioni – sebbene l’abolizione di un ente intermedio tra Comune e Regione non sembri rispecchiare l’obiettivo della promozione delle autonomie locali e del decentramento previsto dallo stesso principio costituzionale. Tuttavia, il ddl Delrio, presentato con il fine di delineare la disciplina degli enti intermedi, sembrerebbe porre rimedio a tali carenze.

Il ddl Delrio (A.P. 1542 della XVII Legislatura) prevede la creazione delle città metropolitane, la disciplina delle province fino all’entrata in vigore della legge costituzionale che le abolirebbe e la formazione delle unioni di Comuni. Per quanto riguarda le città metropolitane (Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli, Reggio Calabria), il disegno di legge pone finalmente termine alla lunga questione relativa all’istituzione di questi enti, certamente necessari per rispondere efficacemente alle esigenze di città con un’economia strettamente collegata a quella dei territori loro  adiacenti. Istituzionalmente, gli organi previsti sono:

Gli organi della città metropolitana avrebbero dunque una legittimazione indiretta, a meno che lo statuto della città metropolitana (da redigere ed approvare dopo la formazione di tale ente) non stabilisca diversamente. Appare evidente come questa scelta rispecchi necessità di pragmatismo e come dimostri la natura “declassata” di tale ente nei confronti delle regioni e dei comuni.

Per quanto riguarda le Province, fino alla loro abolizione, il sistema istituzionale è simile a quello delineato dai precedenti disegni di legge decaduti alla fine della XVI Legislatura, con un presidente eletto da un’assemblea dei sindaci della Provincia e la previsione di un consiglio provinciale più ristretto (come il consiglio metropolitano se confrontato con la conferenza metropolitana). Per palliare all’abolizione delle province, sono mantenute (e probabilmente potenziate nel loro funzionamento) le unioni di Comuni. Dotate di una struttura ternaria simile a quella delle città metropolitane e delle province in via di abolizione – con un presidente, un comitato di sindaci (formato da tutti i sindaci dell’unione) e un consiglio dell’unione (formato dai sindaci e da due consiglieri per comune) -le unioni di comuni costituiscono una modalità efficace per svolgere al meglio funzioni che difficilmente un singolo comune di piccola dimensione potrebbe svolgere da solo, e un esempio di federalismo dal basso verso l’alto, con l’associazione volontaria, e non decisa dallo Stato centrale, di comuni in un ente più grande.

L’aspetto problematico, tuttavia, risiede proprio in questa rivisitazione dell’organizzazione degli enti locali. La Provincia viene abolita, ma un ente simile, quale l’unione di comuni, si troverà ad essere potenziato. Le funzioni delle Province dovranno infatti essere riallocate, o ai Comuni, o alle Regioni (con legge statale o regionale). E’ qui che nasce un disegno che sembrerebbe illogico: se il Comune dovesse trovarsi con le competenze riguardanti l’edilizia scolastica e la manutenzione delle strade ex-provinciali, ci si troverebbe di fronte a risultati paradossali in termini di efficienza e costi. Sulla competenza in campo scolastico, uno studio dell’Unione delle Province Italiane mostra come l’allocazione di tale competenza al livello dei comuni porterebbe ad una moltiplicazione dei centri di spesa e a un conseguente aumento delle spese di 645 milioni di euro. Un altro risultato incongruente può derivare dalla riallocazione della competenza sulle strade: se fossero assegnate ai comuni, si potrebbe arrivare ad avere tratti di strada con manutenzione adeguata (da parte dei comuni con risorse), e tratti meno curati, ove il Comune non abbia risorse sufficienti.

Quale può essere la soluzione? Con buona probabilità, un potenziamento delle unioni di comuni, che assumerebbero informalmente le funzioni delle Province ormai abolite, poiché funzioni di area vasta tipiche di un ente intermedio possono essere svolte con maggiore efficienza da enti di grandezza comparabile a quella delle Province. Se quindi le Province sono uscite dalla porta principale, tramite abolizione dal testo costituzionale, si rischia di rivederle rientrare dalla finestra della legge ordinaria.  

Antonio Puggioni