Il provvedimento ideato da Tremonti e Berlusconi del 2002 doveva portare 5,2 miliardi. La Corte dei Conti scopre che ne sono arrivati solo 1,8. Ora il governo, per coprire la voragine nei bilanci pubblici, vuole tornare dagli evasori che non hanno mai versato il dovuto per battere cassa
Vi ricordate il condono fiscale tombale del 2002 di Berlusconi e Tremonti? Ebbene, è ancora vivo e lotta insieme a noi: è tanto vero che – a undici anni dall’approvazione – si scopre che i “condonati” hanno pensato bene di non pagare tutto il dovuto (anche se, ora, potrebbero avere una brutta sorpresa). Secondo un documento della Corte dei Conti – richiesto dal presidente della commissione Bilancio della Camera, Francesco Boccia, mentre si lavorava sull’ultimo Documento di economia e finanza – al 10 settembre di quest’anno mancano all’appello la bellezza di tre miliardi e mezzo di euro circa.
Secondo la magistratura contabile, il gettito complessivo per sanare definitivamente ogni irregolarità su Irpef, Irpeg, addizionali regionali, Ilor e quant’altro al dicembre 2002 doveva essere complessivamente di 26 miliardi: non si tratta di una previsione, ma del calcolo di quanto dovuto da chi ha aderito al condono ricevendo in cambio benefici come un sostanzioso sconto sulle tasse non pagate e la cancellazione di eventuali reati fiscali. Peccato che poi parecchi abbiano deciso di non pagare tutto, cioè di evadere sull’evaso. D’altronde la legge pareva scritta apposta per farlo: il condono, infatti, si considerava completato dopo aver pagato la prima rata. Di più: a chi sceglieva di rateizzare non si chiedeva alcuna fideiussione sul rimanente debito con l’erario.
Risultato: se uno dopo la prima rata non pagava più, partiva la solita catena per la riscossione coatta tra Agenzia delle Entrate ed Equitalia; il tizio però nel frattempo non poteva essere accusato per i reati eventualmente commessi né gli si potevano applicare le multe cancellate dal condono.
La cosa venne fuori nel novembre 2008: su 26 miliardi ne abbiamo riscossi meno di 21, mise a verbale la Corte dei Conti. Per la precisione mancano all’appello 5,2 miliardi, il 16,2 per cento del totale al netto di sanzioni e interessi. Il governo, che poi era lo stesso che aveva fatto il condono, reagì sgomento: impossibile, inaudito, adesso ci pensiamo noi, gli espropriamo tutto. Siamo alla manovra del 2010, quando la commissione Ue comincia a spingere per l’austerità. Lì Tremonti si gioca il tutto per tutto: entro ottobre del 2011 l’Agenzia delle Entrate deve “effettuare una ricognizione” dei contribuenti che non abbiano ancora provveduto ai pagamenti e avviare nei trenta giorni successivi le procedure di riscossione coatta.
Bene così, problema risolto. O quasi: nell’estate 2011 Tremonti prorogò il termine al 31 dicembre 2012 e poi, tanto perstare tranquilli, Monti decise di fissarlo alla fine del 2013. D’altronde mica è una cosa così facile capire chi ha pagato e chi no: il condono del 2002 in qualche caso – almeno 34 mila contribuenti – fu addirittura anonimo, modello “scudo fiscale”. Alla fine, insomma, in sei anni si è riusciti a recuperare 1,8 miliardi (comprensivi, peraltro, di sanzioni e interessi per i ritardi sulle rate). E i benefici del condono? Sono ancora là.
E qui veniamo all’oggi. Quei tre miliardi e mezzo che mancano all’appello sono tornati d’attualità mentre gli uffici del Tesoro e le commissioni parlamentari consumavano gli occhi per far tornare i conti del Def: conti, sia detto per inciso, che per il 2013 tornano solo perché finora agli atti risulta che dovremo pagare la rata dell’Imu di dicembre per complessivi 2,4 miliardi di euro. In quei giorni, come detto, Francesco Boccia chiese alla Corte dei Conti notizie sull’annosa vicenda del condono tombale del 2002 scoprendo quei 3,4 miliardi dimenticati: “Adesso le proroghe sono finite – spiega al Fatto Quotidiano il deputato del Pd – e dobbiamo fare di tutto, già nella legge di stabilità, per recuperare i soldi: la prima cosa è prevedere che chi non è in regola coi pagamenti perde subito i benefici del condono, poi studieremo se applicare penalizzazioni accessorie”.
In sostanza, chi non ha pagato le rate dopo la prima potrebbe non solo trovarsi a dover sborsare tutte le tasse dovute senza alcuno sconto (anche cinque volte più di quanto pattuito a suo tempo), ma pure finire sotto la lente della magistratura per eventuali reati fiscali. Si vedrà, ma va detto che i precedenti non lasciano ben sperare: come ha rivelato l’Agenzia delle Entrate nel 2005, in sessant’anni di condoni solo quelli del 1989 e del 1992 hanno rispettato le previsioni di gettito.
da Il Fatto Quotidiano del 26 ottobre 2013