Paolo Cipriani, ex direttore dello Ior, insieme al suo vice, Massimo Tulli sono indagati per violazione delle norme formali antiriciclaggio, sono stati interrogati dai pm della Procura di Roma. Al centro dell'inchiesta le operazioni sospette della banca vaticana per il trasferimento di 23 milioni di euro nel 2010 da un istituto italiano a un altro
Alla faccia della trasparenza e del nuovo corso voluto da Papa Francesco, c’è ancora un buco enorme nei controlli antiriciclaggio sui flussi in contante tra Vaticano e Italia. Lo ha ammesso davanti ai pm di Roma in un interrogatorio finora inedito Paolo Cipriani, ex direttore dello Ior, dimessosi il 1 luglio scorso, insieme al suo vice, Massimo Tulli. Qualche settimana fa i due ex manager Ior indagati per violazione delle norme formali antiriciclaggio sono stati interrogati in Procura.
Dopo aver ricevuto l’avviso di chiusura dell’indagine, il 9 ottobre scorso Cipriani ha provato a giustificare con i pm le sue azioni. La questione al centro dell’interrogatorio è la solita: le operazioni sospette dello Ior per il trasferimento di 23 milioni di euro nel 2010 da una banca italiana a un’altra. Cipriani ha cercato di derubricare a meri “giroconti” quelli che invece la Procura considera dei comuni “bonifici”, soggetti quindi all’onere di comunicazione dei reali intestatari dei fondi movimentati. Poi però l’interrogatorio ha preso una piega inattesa e molto interessante quando i pm hanno cominciato a porre domande a Cipriani sulle modalità con le quali laici e monsignori, italiani e cittadini del Vaticano entrano nelle Mura Leonine e ne escono con borse piene di contante.
I pm Nello Rossi, Stefano Fava e Stefano Pesci sono particolarmente interessati al sistema delle cosiddette dichiarazioni transfrontaliere. I cittadini di un paese extracomunitario, come il Vaticano, che introducono in Italia un importo di contante superiore ai 10 mila euro sono tenuti a presentare una dichiarazione alle Dogane per finalità di contrasto al riciclaggio. La mancata comunicazione prevede sanzioni che vanno da un minimo di 300 euro a un massimo del 50 per cento della somma non dichiarata, se l’importo è superiore ai 10 mila euro. La normativa è invigore dal 2008, con inasprimenti del 2012. Per esempio, quando Monsignor Scarano è entrato in Italia nel 2009 con i suoi 560 mila euro in contanti prelevati allo Ior, avrebbe dovuto presentare la dichiarazione transfrontaliera in entrata in Italia. E, visto che non lo ha fatto, avrebbe dovuto pagare una multa di centinaia di migliaia di euro. Anche il Vaticano prevede l’obbligo di dichiarare le uscite superiori ai 10 mila euro in contante. Prima dell’istituzione dell’Aif, l’Autorità di Informazione Finanziaria antiririclaggio voluta da Benedetto XVI, le dichiarazioni chieste dallo Ior restavano alla banca vaticana. Dopo l’aprile del 2011, quando l’Aif è entrata in funzione, sono invece presentate per legge direttamente all’Autorità.
Quello che i pm romani hanno scoperto è che monsignor Scarano e i tanti laici e prelati che escono con le borse piene di contanti dal Vaticano tuttora presentano le loro dichiarazioni solo alle autorità del loro Stato Vaticano ma si guardano bene dall’ottemperare all’obbligo parallelo previsto all’ingresso in Italia dal nostro paese. L’ex direttore della banca vaticana ha spiegato ai pm il funzionamento del meccanismo di segnalazione prima e dopo l’istituzione dell’Aif, l’Autorità di Informazione. Cipriani ha spiegato ai pm “finché c’ero io, si potevano ritirare fino a 9.999 euro oltre questo c’è una dichiarazione doganale che va fatta e alla fine di ogni giornata tutte queste dichiarazioni vengono consegnate all’Aif”. I pm allora chiedono: “l’Aif quando riceve queste dichiarazioni doganali di ritiri di somme superiori ai 9.999 euro, che cosa fa?”. Cipriani risponde: “questo non lo so io (..) io presumo che loro abbiano un archivio e comunichino agli altri Stati, le cose. (…) noi consegnavamo a lui il documento in cui ritirava e aveva la dichiarazione”. Poi aggiunge: “però voglio dire, lo doveva fermare la dogana italiana o la gendarmeria vaticana, questo non è che io andavo a chiedere “ti ha fermato la gendarmeria, ha firmato”. I pm chiosano: ‘ho capito, lei dice “a me non mi interessava’”.
Il risultato di questo disinteresse è il completo disallineamento tra il numero delle dichiarazioni in uscita in Vaticano con le dichiarazioni in entrata in Italia. Nella sua ultima relazione relativa all’attività svolta nel 2012 l’Aif del Vaticano ha comunicato che le dichiarazioni presentate nel 2012 sono state ben 1782 in uscita mentre nel 2011 erano state addirittura 1894. Al Fatto risulta che alle Dogane italiane sono state presentate pochissime dichiarazioni o addirittura neanche una. Abbiamo provato a chiedere il numero esatto alle Dogane ripetutamente ma l’Agenzia si è rifiutata di fornire dati in merito. Anche perché i poteri di accertamento sull’evasione dell’obbligo di dichiarazione spettano anche alle Dogane. In fondo basterebbe chiedere all’Aif l’elenco delle dichiarazioni in uscita per scoprire altrettanti potenziali riciclatori. Sarebbe possibile chiedere allo Ioranche quelle precedenti al 2011. Spiega Cipriani ai pm: “io davo la dichiarazione al cliente per dimostrare che aveva preso in Vaticano quei soldi. Una copia rimaneva a noi, in istituto. Poi dovevo comunicarlo allo Stato Vaticano non allo Stato Italiano”. E chissà che un giorno lo Stato italiano non si svegli e le chieda lui.
Da Il fatto Quotidiano del 26 ottobre 2013