La crisi picchia duro sui piccoli imprenditori. E lo Stato di certo non aiuta, ritardando i pagamenti della pubblica amministrazione e portando in tribunale chi non è in pari con il fisco. Sempre più spesso, però, sono proprio i giudici ad andare incontro alle imprese, assolvendo chi dimostra di essere indietro con i pagamenti per colpa delle difficoltà economiche o dei debiti dello Stato. L’ultimo caso di cronaca riguarda un imprenditore di Novate Milanese, assolto nei giorni scorsi per il mancato versamento di 180mila euro di Iva, poiché il giudice ha riconosciuto che avrebbe pagato le imposte se solo non fosse stato soffocato dalla crisi.
Il 15 di ottobre è stato invece assolto Achille Saletti, presidente della onlus Saman e blogger del fattoquotidiano.it, che si è dovuto presentare in tribunale per la terza volta a causa dei problemi con il fisco, in questo caso per il mancato pagamento di ritenute certificate nel 2007 per 89mila euro, nonostante la sua associazione abbia oltre 2 milioni e mezzo di crediti verso la pubblica amminstrazione per arretrati scaduti.
“Il giudice ha rinviato la sentenza dal 23 settembre al 15 ottobre per pensarci su e fare ricerche su altre sentenze simili, poi ha accolto la nostra opposizione in quanto mancava l’elemento soggettivo del dolo”, spiega Saletti. “Ma ho dovuto dimostrare di avere fatto il possibile per cercare di recuperare il denaro dallo Stato in modo da pagare le tasse, mandando lettere di diffida e incaricando gli avvocati di chiedere decreti ingiuntivi”, precisa, sottolineando che “a causa dei mancati pagamenti dallo Stato rischiamo di essere obbligati a vendere degli immobili per mandare avanti la nostra attività”.
Il suo avvocato, Rita D’Agostino, spiega che “queste sentenze stanno facendo clamore perché la Cassazione sostiene che in questi casi bisogna condannare, ma ci sono sempre più giudici illuminati che si schierano contro lo strapotere dello Stato che è padre padrone”. Uno Stato che, secondo l’avvocato, “non è interessato a depenalizzare con una legge questi casi perché così si aprirebbe un precedente sfavorevole e non potrebbe più battere cassa”. Il caso di Saman, una comunità con undici sedi e nove centri di accoglienza in Italia, è quindi “paradossale perché da un lato lo Stato non paga ed è inadempiente e dall’altro pretende di condannare una società che ha crediti ed è stata messa in difficoltà proprio dalla pubblica amministrazione”.
Niente interessi per le società no profit
E, mentre lo Stato batte cassa, le aziende chiudono i battenti in attesa dell’incasso di quanto dovuto da parte dello Stato. E nessuno viene risparmiato. “Le no profit dovrebbero essere uno scalino più in alto, ma non è così”, dice Saletti sottolineando che “la restituzione di 1,5 milioni ci permetterebbe di superare la crisi finanziaria”. Altrimenti, nel caso di Saman, ci rimetteranno non soltanto il personale della comunità, ma anche i tossicodipendenti che rischiano di non avere più accesso alle cure.
“Quando le aziende profit (ovvero quelle che lavorano per il profitto, ndr) chiedono indietro il denaro allo Stato, possono contare anche sul calcolo del mancato pagamento”, spiega Saletti, “ovvero la cifra spesa per recuperare i soldi dalle banche in attesa che venga saldato il debito”. Interessi che, per le no profit, non sono inclusi. Non solo. Le aziende senza scopo di lucro sono svantaggiate anche perché chiudono l’anno quasi sempre in pari, quando va bene. Risulta quindi troppo oneroso, in molti casi, pagare gli interessi alle banche per rimediare ai debiti dello Stato, come fanno molte altre imprese. “Per una società come la nostra acquistare denaro dalle banche pagando gli interessi è difficile”, avverte Saletti, perché “abbiamo chiuso sempre l’anno in pareggio, con un risultato leggermente positivo o negativo”.
Il presidente dell’associazione sottolinea poi che “i crediti che abbiamo con la pubblica amministrazione sono sulla base di contratti firmati”. Lo Stato dovrebbe pagare le prestazioni di cui si avvale entro 90 giorni, “ma i soldi vengono restituiti in 150 giorni al Nord e fino a 700 al Sud”. Un ritardo devastante, che segna un altro triste record per l’Italia. “Il nostro è uno dei Paesi che paga più in ritardo”, ricorda Saletti, sottolineando che in Olanda e Germania bisogna aspettare 30 giorni e in Inghilterra ne bastano 15. “Spesso accade che ci fanno aspettare tre mesi e poi dicono che la richiesta per la restituzione del denaro è incompleta. Si attaccano a ogni pretesto per prendere tempo e far slittare il pagamento”.
“Rischio favoritismi o corruzione”
Le società no profit non hanno quindi alcun privilegio nella restituzione dei debiti dello Stato e per alcuni aspetti sono anche svantaggiate a causa di procedure ricche di burocrazia e ostacoli, dove regna il caos. “Non c’è trasparenza nel saldo dei debiti, non c’è neanche ordine cronologico”, afferma Saletti. “Si dà spazio alle tesorerie di pagare chi vogliono. Con il rischio che si creino favoritismi o corruzione a vantaggio solo di alcuni”. Non va meglio per quanto riguarda i finanziamenti donati dai contribuenti attraverso la dichiarazione dei redditi. In proposito Saletti sottolinea che “solo un mese fa ci hanno pagato il cinque per mille del 2010”.
Le conseguenze sono facili da immaginare. “Scattano ritardi nel pagamento degli stipendi (da due a sei mesi) dei 140 dipendenti, compreso il mio, dando il via a un lento inabissamento”, aggiunge, evidenziando l’aggravante della “totale imprevedibilità dei tempi di pagamento” e quindi la difficoltà di fare previsioni e progetti. Si innesca poi una reazione a catena, con ritardi nel pagamento dei fornitori, di contributi e imposte. “Chiediamo da anni una compensazione”, afferma Saletti, spiegando che “se devo pagare l’Inps e non lo faccio perché lo Stato non mi paga, questo si traduce in una cartella esattoriale con tanto di mora. Denaro che non mi sarà mai restituito, neanche quando la pubblica amministrazione salderà i debiti”.
Le banche non prestano e le onlus chiudono
Un capitolo a parte riguarda il ruolo delle banche. Le regioni hanno ceduto tramite cartolarizzazioni parte dei debiti agli istituti di credito, che dovrebbero restituire subito il denaro alle società creditrici, in attesa di essere risarcite con interessi dallo Stato. Ma non è proprio così. “Anche le banche dilatano i pagamenti e c’è una lunga burocrazia”, spiega Saletti, sottolineando che “a seconda delle contrattazioni tra istituti di credito ed enti pubblici si applica uno sconto alla cifra da restituire alle aziende creditrici (circa il 5 per cento)”. A rimetterci, quindi, sono sempre le società che aspettano soldi dallo Stato.
Ad aggravare la loro situazione è il fatto ormai più che assodato che le banche concedono meno prestiti. “La stretta sul credito è sempre più grave, per questo siamo costretti a vendere gli immobili. Nel momento in cui lo Stato non paga e le banche non concedono prestiti si inceppa il meccanismo e si è costretti a chiudere”. E le conseguenze rischiano di essere devastanti quando a chiudere i battenti sono le società no profit. “Noi curiamo tossicodipendenti, non possiamo diversificare la cura”, conclude Saletti. “O è pagata dallo Stato oppure non è pagata, perché non abbiamo altro modo per trovare soldi”.