I buoni propositi espressi un anno fa riguardo al processo d’integrazione economica, fiscale e politica dell’Eurozona non si stanno concretizzando. Al contrario, negli ultimi mesi la Germania ha fatto leva sui paesi nordici per annacquare le proposte di unione bancaria e fiscale approvate nel 2012.
I fautori dell’euro sostengono che l’eurozona dovrebbe ispirarsi al modello statunitense ed auspicano un approccio alla Alexander Hamilton, fu lui che nel 1790 fece accollare al tesoro tutti i debiti degli stati dell’unione americana, una mossa che trasformò un conglomerato di stati in uno Stato federale coeso a livello economico e politico. Il presidente dell’Unione Europea, il belga Herman Van Rompuy, vorrebbe passare alla storia come la versione europea di Hamilton ed infatti ha prodotto una serie di documenti dove si enfatizza la necessità di creare un bilancio dell’unione centralizzato, meglio definito unione fiscale. Questa istituzione, una sorta di tesoro dell’Eurozona, avrebbe il compito di compensare gli squilibri economici tra le nazioni, ad esempio potrebbe intervenire negli stati in cui c’è maggiore disoccupazione con politiche miranti a creare posti di lavoro. I fondi necessari per questo tipo di finanziamento sarebbero raccolti sul mercato dei capitali, proprio come fa il tesoro statunitense, emettendo obbligazioni, in altre parole usando gli eurobond.
Altro pilastro del processo d’integrazione dovrebbe essere l’unione bancaria, che offrirebbe alle banche dell’Eurozona una sorta di rete di supporto, un’assicurazione sui depositi a carattere federale, esattamente come avviene negli Stati Uniti.
Nonostante questi progetti siano stati approvati nel 2012 la loro attuazione è stata sabotata magistralmente dal ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schauble, dal Regno Unito, dalla Finlandia e dall’Olanda. Dopo le elezioni anche la Merkel ha cambiato tono riguardo alle misure necessarie per evitare che l’unione monetaria continui ad essere in crisi. Non si parla più di unione politica, un tema che non è caro all’elettorato tedesco poiché è convinto che dietro questa frase si celi la volontà dei paesi della periferia di usare i risparmi tedeschi per pagare i propri debiti. Ad ottobre la Merkel ha addirittura dichiarato più volte ai burocrati di Bruxelles ed ai rappresentati dell’Eurozona che la Germania non appoggia un aumento del potere della Commissione e del Parlamento europeo, al contrario, la nuova filosofia tedesca è per un ritorno alle responsabilità dei singoli paesi riguardo alle questioni economiche e fiscali. In altre parole si supporta un’integrazione più debole di quella sognata dagli euroburocrati e dai politici della periferia.
Dei vecchi propositi rimane solo l’imposizione di una ferrea disciplina economica per migliorare la competitività delle singole nazioni, che tradotto nel gergo della periferia vuol dire deflazione interna: impoverimento con conseguente caduta del costo del lavoro, ciò che sta succedendo in tutte economie deboli dell’eurozona. Un processo che si arresterà soltanto quando l’impoverimento sarà tale da rendere il nostro costo del lavoro competitivo con quello dei paesi emergenti dove attualmente si delocalizza: Laos, Vietnam e così via.
Sul fronte finanziario, invece, fin tanto che paesi come l’Italia e la Spagna sono in grado di pagare gli interessi sul debito indebitandosi principalmente sul mercato dei capitali nazionale, e fintanto che la Bce ne alimenta le banche con denaro stampato, la situazione rimane in equilibrio. Sembra assurdo ma è quello che sta accadendo, ecco perché il fatidico spread rimane basso.
Nel lungo periodo può succedere di tutto, dalla progressiva deindustrializzazione dell’economia dei paesi della periferia, come sta succedendo in Italia, fino alla cinesizzazione del mercato del lavoro, ed anche di questo fenomeno noi italiani ne sappiamo qualcosa. Non è neppure da escludere una nuova crisi finanziaria simile a quella del 2011, ma questa volta il default di una delle economie della periferia non trascinerebbe nel baratro il sistema bancario tedesco o nord europeo dal momento che chi detiene gran parte del debito sono investitori nazionali e saranno proprio loro insieme ai correntisti ed ai cittadini pagare il conto finale.
Questi ragionamenti, che molti definiscono catastrofisti, sono invece realisti. Dal 2008 il mantra è sempre lo stesso: deflazione interna e chi continua a non crederci o è troppo ricco per rendersene conto o troppo ingenuo per prenderne coscienza. In entrambi i casi a renderci ciechi è l’ignoranza.