I programmi di approfondimento politico hanno da tempo assunto la configurazione definitiva del talk show, con l’unica eccezione (ma è solo una sfumatura) di “Otto e mezzo” della Gruber, che ha più l’aria del salottino e meno dell’arena gladiatoria. Ogni sera ce n’è uno, fra Rai e La7, con una notevole preponderanza di questa rispetto a quella. E si fatica non poco a distinguere o a ordinare secondo un qualche criterio significativo.

Tutti, comunque, sembrano allineati al pensiero dominante che grava sull’intelligenza di questo paese: antiberlusconismo soft (vale a dire educato), ossequio rigido della par condicio, assunzione a-critica dei concetti neo-liberisti di “debito pubblico”, di “stabilità”, di “governamentalità”, e così via. Recentemente sembra distinguersi solo “La gabbia” di Paragone, che accentua la dimensione gladiatoria del dibattito (il pubblico è molto attivo, critico e con esso interagisce vivacemente chi prende la parola) e allarga l’offerta a voci normalmente precluse ai palinsesti televisivi, quelli cioè della sinistra non liberista, che non assumono aprioristicamente quei concetti di cui sopra ma li contestano, che argomentano con una modalità divergente rispetto a valori sacrali come l’Ue, l’Euro, i pareggi di bilancio e robetta simile.

Una cosa va subito detta: la pluralità forsennata non porta da nessuna parte. Riesce solo a confondere le cose, a triturarle nel pentolone dell’insipienza, a colorare ulteriormente di nero la famosa notte hegeliana in cui tutte le vacche sono già nere. Un bel format secco, a senso unico, coraggioso, unilaterale è ciò che manca in questo paese di azzeccagarbugli: uno spazio in cui si produce informazione a sostegno di una tesi. Una. La possibilità di moltiplicare le occasioni, di ospitare di volta in volta un drappello preparato,  di concentrare le informazioni assonanti e poi, la volta dopo, quelle dissonanti,  rimetterebbe in circolo la libertà di scelta ed eviterebbe di annacquare tutto fino alla saturazione, praticando continuamente una sorta di principio algebrico per cui alla fine di ogni serata televisiva tutto si è annullato con tutto!

Pensiamo solo a Santoro, che ospitò – in una sola botta – Berlusconi e Travaglio, procurando al primo ottime occasioni per vincere sul piano dell’avanspettacolo e al secondo un buon motivo per piacersi ancora di più. La pratica indefessa della par condicio è, oltre un certo limite di onestà intellettuale, uno dei soliti trucchi dell’ipocrisia italiana.

di Sandro Vero

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