axa- degradoPiazza Giovanni Omiccioli è nel quadrante sud-occidentale della Città, ben aldilà del Gra. Il riferimento urbanistico è Acilia, una delle frazioni più popolose d’Italia. A lungo borgata senza essere neppure periferia. La via Cristoforo Colombo, dalla quale si stacca il vialone stretto e rettilineo di via di Acilia non è lontana. Da un lato, fino alla via del Mare, l’urbanizzazione quasi completamente densificata. Dall’altra, ancora, la Riserva naturale.
Lo spazio pubblico, attraversato da via Gigi Chessa, che li separa. Da una parte la piazza vera e propria, definita da due bassi fronti di edifici (dalla sagoma differente), che avrebbero dovuto essere occupati al piano stradale, porticato, da attività commerciali. Che ancora non ci sono. Al centro, circondata su tre lati da parcheggi per auto, la piazza. Ulteriormente sottolineata dalla geometria della suddivisione interna fatta di aiuole, incolte, e passaggi pedonali sui quale restano delle panchine. In parte distrutte. Una vaga ma insistente sensazione di desolato abbandono avvolge quel che c’é.

Dall’altra parte c’è un parco. Che si distende fino a via Francesco Menzio. I palazzi che ci sono, sembrano lontani. Come i due fronti di edifici, dalla forma compatta, che perimetrano su due lati l’area a verde. Poco distante ci sono gli scheletri affiancati dalle gru e i profili compiuti dei 12 palazzoni a nove piani delle Terrazze del Presidente, il complesso ancora in costruzione che promette molto. Da quel che si può vedere più di quanto potrà realmente offrire.

Un viale mattonato avanza nel parco, preceduto da uno slargo. Panchine di legno, rotte. Cestini per la raccolta dei rifiuti, pieni oltre la capacità. Sembra da tempo. Considerando che anche a terra si sono accumulate lattine e cartacce. In compenso i lampioni fanno luce. Almeno qui. Dal momento che procedendo in leggera salita sul passaggio pedonale, ce ne sono diversi che hanno le lampade fuori uso. Ci sono anche gli alberi. Due grandi eucalipti, affacciati quasi su via Chessa e poi, soprattutto olivi. Oltre a qualche cerro e a diversi cespugli di alloro. In terra non c’è prato inglese, ma erbe spontanee. La cui altezza dipende soprattutto dalla stagione. Più che dalle cure alle quali lo sottopongono quasi esclusivamente gli abitanti della zona riuniti in associazioni. Qua e là, lattine, e bottiglie di vetro, buste di plastica e fazzoletti di carta, insieme a rifiuti di ogni tipo.
Qualche anziano, accompagnato, passeggia. Qualche altro si siede, dove può.

axa archeologiaNessuno presta attenzione al recinto che c’è al centro del parco, sulla spianata che poi discende in direzione di via Menzio. La staccionata è in diverse parti mancante e “dentro” non si capisce cosa ci sia. L’erba è più alta di quanto non lo sia all’esterno. Solo entrando e avvicinandosi un po’ al centro dell’area si nota come il terreno diventi irregolare. Si intravvedono i limiti di un’area scavata. Nulla a segnalarla. Alcun pannello didattico, ma soltanto una distesa di fiori gialli di pulicaria. Sotto e in mezzo, i resti di una villa romana. Muri e pavimenti conservati a dispetto di un abbandono perpetuato negli anni. Resti di strutture in opera reticolata poco al di sopra del piano di spiccato. Altre parti, più cospicue, relative forse alla fondazione di un muro perimetrale dell’impianto. Altre ancora, delle quali risulta difficile perfino identificare dimensioni e tecnica. Poi, i mosaici. Almeno due, a pavimentare ambienti attigui. A tessere piccole, bianche e nere, che riproducevano figure geometriche. Ma ormai quasi completamente in rovina. Nelle vicinanze si intravvede una porzione di pavimento a spina di pesce, realizzato con elementi di cotto. Forse ci sarebbe anche dell’altro, ma non si vede.

Ad interessarsi di un pezzo della storia antica di quest’area, prima che vi piombassero gli immobiliaristi, soltanto alcune associazioni locali. Tra cui una che nel 2008, per sollecitare gli organi competenti, organizzò un sopralluogo al sito. Non solo. Presentò anche un esposto alla magistratura. Da quel che si vede, senza grandi risultati. Così senza seguito sono stati anche alcuni articoli apparsi su quotidiani nazionali nei quali si denunciavano le condizioni del sito.

L’area archeologica c’è. Sta lì, senza mostrarsi. Quasi ignota. Sostanzialmente confusa nel verde spontaneo. Contribuendo, inconsapevolmente, al degrado del parco. Completamente persa la valenza che avrebbe dovuto avere. Quella di elemento distintivo ed identificativo di un luogo nel quale a segnalarsi non sembra essere l’architettura. L’esito, invece, opposto. L’immagine che piazza Omiccioli restituisce lontanissima dalle aspirazioni del progetto. Non luogo di condivisione e aggregazione. Non spazio per ritrovarsi. Una piazza che ha fallito la sua missione. Sembra piuttosto di essere proiettati  nelle piazze metafisiche dipinte da De Chirico, come Piazza Souvenir d’Italie, nelle quali ogni cosa sembra bloccata nel tempo e i resti di edifici greci e romani fanno da quinte alla scena principale.

In fondo in quest’angolo di Roma, nel quale l’urbanistica dissennata degli ultimi decenni ha esercitato malamente sé stessa, accade proprio questo. Che l’archeologia si faccia metafisica Che la villa romana sia solo un elemento della rappresentazione del paesaggio. A quanto sembra il più trascurabile.

 

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