Abbandonato dalle istituzioni e “vessato” dall’Agenzia delle Entrate: l’imprenditore varesino Flavio Caravati ha comprato una pagina del Corriere della Sera per far pubblicare una lettera aperta al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e al presidente del Consiglio Enrico Letta. Il patron della Virca (azienda attiva nel commercio all’ingrosso di articoli di carto-cancelleria, gadget, articoli da regalo) già lo scorso anno aveva sollevato la questione scrivendo alle più alte cariche dello Stato per puntare il dito contro l’Agenzia delle entrate e i suoi funzionari, rei di aver attuato nei suoi confronti un’azione “persecutoria”. Dopo quella presa di posizione venne invitato a rivolgersi alla magistratura: “Mi sarei atteso un’attenzione maggiore – scrive oggi Caravati – quanto meno al fine di verificare, per il tramite del dicastero dell’Economia, la fondatezza delle mie lagnanze e se il mio fosse un caso isolato o se, invece, rappresentasse uno dei tantissimi episodi in cui il cittadino non trova nello Stato un interlocutore, ma un avversario, se non addirittura un nemico”.
Per avere ragione delle proprie posizioni nel marzo scorso Caravati si era rivolto al tribunale di Varese e un mese più tardi al Garante del Contributore. Dal primo non ha ricevuto risposta, il secondo ha archiviato la pratica. Pur con gli opportuni distinguo l’imprenditore varesino è arrivato a paragonare la situazione in cui si trovano oggi le imprese italiane al dramma della Shoah patito dagli ebrei, costretti a rifugiarsi all’estero per evitare la morte. Di fronte alla possibilità di trovare riparo oltre confine, Caravati dice di aver scelto di rimanere in Italia, perché non avrebbe sopportato il senso di colpa “verso i dipendenti, verso gli addetti dell’indotto, verso gli altri imprenditori e verso tutti gli altri cittadini italiani onesti”. Secondo l’imprenditore, oggi come nell’epoca nazifascista, il male sta avendo il sopravvento sul bene: “Il degrado culturale e morale delle istituzioni accelera ed aumenta d’intensità senza che la collettività e lo Stato mostrino sussulti o scatti d’orgoglio”. Parla della rassegnazione che affligge tutti i cittadini e in particolare gli imprenditori, costretti a vivere in una “dittatura della burocrazia pubblica”, poi chiede nuovamente a Letta e Napolitano di intervenire al fine di controllare l’operato dell’Agenzia delle Entrate ed evitare così che vengano messi in atto dei soprusi.
Poi Caravati parte con un’invettiva contro i dipendenti pubblici che “non soffrono minimamente la crisi” e che “non conoscono le difficoltà della disoccupazione”, accusandoli di esercitare un potere fuori dalle regole con arroganza e disprezzo verso chi, per sfortuna, si trova ad incappare nelle maglie della burocrazia: “non è accettabile che un cittadino contribuente debba essere perseguitato da azioni insensate e prive di fondamento logico giuridico, senza nemmeno ottenere uno straccio di spiegazione in merito al perché delle iniziative intraprese contro di lui ed il suo modo onesto di fare impresa in Italia”.
Caravati conclude la sua lettera proponendo una riflessione a Napolitano e Letta: “Ditemi chi è il soggetto italiano o straniero che, secondo voi, possa sentirsi incentivato ad investire oggi in Italia e in che campo mai potrebbe operare per sentirsi garantito e supportato dall’impianto pubblico”. E, ancora: “se voi aveste un milione di euro da investire lo fareste in un’azienda italiana oggi? In un paese dove la sola cosa che conta è la spartizione di potere e dove la Pubblica amministrazione non ha nessun interesse e non fa niente per sostenere un’impresa e un imprenditore che voglia provare a realizzare un prodotto di qualità!”.