I consumatori comprendono quando i messaggi pubblicitari, che li bombardano quotidianamente, hanno un interesse esclusivamente commerciale (quindi interesse privato), oppure posseggono anche caratteristiche di informazione oggettiva, elementi inseriti per volontà o legge grazie ad organismi nazionali o sovranazionali che han a cuore il bene del cittadino? Si tratta di due cose abbastanza diverse, e con finalità evidentemente differenti quando addirittura non contrastanti. Nell’epoca del salutismo imperante, i confini tra diverse forme di comunicazione al consumatore (quello che va a fare la spesa, per intenderci), sembrano abbastanza sfumate. Con possibili conseguenze negative.

Spunti per la discussione vengono proprio dalla normativa alimentare, che in Europa è da qualche tempo stata rivoluzionata con la regolazione dei cosiddetti messaggi nutrizionali e di salute, che oltre alla pubblicità, possono comparire sulle etichette del cibo. È importante premettere che, in via crescente, i governi stanno ricercando partnership con gli attori privati , entro una cooperazione nella gestione di temi centrali per la salute pubblica (multi-stakeholders governance). Tale approccio consente ai governi di risparmiare denaro pubblico, scaricando costi su soggetti privati; ma soprattutto, genera il benefico effetto di garantire un ampio consenso (del tipo “il tema è qui sul tavolo, aiutateci a risolverlo con i vostri mezzi, visto che spesso i consumatori li conoscete meglio di noi”, è il ritornello più o meno implicito). Ma questa modalità è da qualche tempo messa in discussione. E’ plausibile pensare che lasciare soggetti privati come depositari di scelte che abbiano impatto sulla salute pubblica, possa essere poco saggio.

Il marketing ovviamente è uno degli strumenti preferiti dalle imprese per comunicare il proprio potenziale distintivo. Ma cosa succede quando questi messaggi assumono pretese di verità scientifica, o addirittura, di interventi di salute pubblica? Un caso eclatante è costituito dai cosiddette ‘formule di proseguimento’, tipologie di latte indicate per i bambini fino a 3 anni. Finora osannate dalla comunità medica in seguito a marketing insistente delle aziende produttrici (un cartello di pochi nomi con rendita semi-oligopolistica e in grado di creare una tendenza nei consumi, convincendo mamme e pediatri), l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA)di Parma ha da poco chiarito un fatto che nessuno osava mettere seriamente in discussione. Ovvero, che tali formule non sono affatto superiori al latte di mucca, come preteso dalle industrie produttrici – ed in ragione della fortificazione con vitamine e minerali e di un bilanciamento ‘migliore’ dei nutrienti- nonostante i costi decisamente più alti (fino a 20-30 volte il latte intero).

Mamme ignare hanno comprato per decenni formule di questo tipo, pagandole cifre spropositate, con la paura propria delle mamme. Mamme magari non in grado di produrre latte per i propri bimbi, con sensi di colpa alle stelle, e pronte a fare qualsiasi cosa pur di ripristinare il patto fisiologico che la natura vuole sia mantenuto con i propri figli. Il rischio di banalizzazione e di disinformazione ai consumatori rimane così alto. Esiste il rischio che si crei una confusione non riconosciuta dai cittadini e consumatori, e quindi pericolosa tra messaggi con finalità di marketing e invece comunicazioni di salute pubblica. Se è ovvio a tutti che un messaggio come “si consiglia di seguire una dieta varia ed equilibrata e uno stile di vita sano” è chiaramente un messaggio di salute pubblica (e la Commissione Europea suggerisce di affiancarlo a messaggi salutistici), altri claim sono meno chiari nella affiliazione e finalità. Soprattutto quando identificano con grande precisione degli alimenti, o più spesso tecnologie, magari in regime di proprietà intellettuale per ricerca e sviluppo svolta da privati. Beninteso: oggi in Europa tali messaggi sono regolati in modo preciso, quasi chirurgico, e dopo una valutazione scientifica del più alto grado possibile che ne dimostri gli effetti benefici. Ma rimangono, in ogni caso, marketing. La salute è solo l’espediente per vendere di più.

Ma se si vende di più, non si corre il rischio di far mangiare troppo? E di conseguenza, di creare diete e modelli alimentari sbilanciati ed intrinsecamente errati? In definitiva, sono messaggi che, come rileva anche Sicurezza Alimentare, si basano su due velocità diverse: uno slow thinking per la salute pubblica (messaggi a lenta azione, che incidono su abitudini, e quindi, con impatto nel medio-lungo termine) e invece un fast thinking per il marketing (dove i prodotti devono essere venduti, qui ed oggi, altrimenti diventano giacenza in magazzino). Pensieri veloci e pensieri lenti, per dirla alla Khaneman e Tverski (Nobel per la psicologia nel 1973). Fabrizio Sala, Sottosegretario alla Regione Lombardia di Expo 2015, il più grande evento mondiale per alimentazione e nutrizione, osserva “una corretta comunicazione è importante per mantenere i cittadini/consumatori  aggiornati ed educati sul cibo che portano sulle proprie tavole. Il tema della comunicazione riveste un ruolo importante in Expo 2015 e le scelte in seno all’Unione Europea interessano tutti noi”.

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