Roberta Taveri, bolognese di 26 anni, vive a Kampala. "Non ho mai lavorato nel nostro Paese perché non ho avuto la possibilità di trovare una posizione vicina ai miei interessi. In più, il mercato sembra saturo"
“Un giorno vorrei stabilizzarmi in un posto che sento più affine a me, ma so che questo mio progetto è al momento irrealizzabile in Italia. Quindi, per il momento, sto in Uganda”. Dove “si viene valorizzati in base al merito e dove ho avuto molte possibilità”. La grande Africa è l’orizzonte entro il quale si muove ora Roberta Taveri, 26enne di Bologna, ex studentessa di filosofia politica all’Alma Mater, con in tasca un master in Filosofia etica e politica all’Università di Edimburgo. Ora Roberta a Kampala è consulente per l’Onu, dopo aver fatto uno scambio a Montreal, in Canada, un periodo di lavoro a Ginevra e un volontariato in una ong a Londra.
“Stare qui mi piace: Kampala offre tante possibilità, anche di svago, non solo di lavoro”. Anche se, quando si esce dalla città, “spesso ci si deve relazionare con persone che vivono in condizioni di povertà e la cui visione del mondo è molto più complicata rispetto alla nostra di europei”. Per Roberta, però, uno degli aspetti più belli della vita a Kampala è che “ogni giorno è una scoperta”, anche “perché ci si apre a prospettive nuove, allenandosi a un modo di pensare più aperto e comprensivo”. Niente ritorno in Italia, quindi, almeno per il momento. “Non mi sento propriamente in fuga, dal momento che mi piacerebbe avere la possibilità di vivere nel mio Paese – osserva – Ma ora non ci sono le condizioni per avere un lavoro e un futuro nel mio Paese”.
La scintilla della “fuga” avviene con le prime esperienze all’estero. “Viaggiando – prosegue – ho scoperto che in ambito universitario e professionale esistono modi diversi di relazionarsi rispetto all’Italia. Spesso all’estero le persone vengono formate in base ai propri interessi e alle proprie attitudini”. Il contrario di quanto avviene nelle nostre scuole, “dove i ragazzi ‘subiscono’ una formazione spersonalizzata. Non ho mai lavorato nel nostro Paese perché non ho avuto la possibilità di trovare una posizione vicina ai miei interessi. In più, il mercato sembra abbastanza saturo. Ho deciso quindi di partire per l’Uganda dopo aver vinto una borsa alle Nazioni unite”.
La nostalgia, tuttavia, non è nei suoi nuovi orizzonti africani. “Essere lontana da casa non è semplice ma, a distanza, si tende sempre a idealizzarne gli aspetti positivi. Per quanto riguarda il settore della cooperazione, poi, sembra che accedere alle posizioni disponibili non sia facile senza qualche ‘raccomandazione'”. Cosa che in Uganda non avviene. “Qui si viene considerati in base al merito. L’Uganda offre buone possibilità di lavoro se ci si impegna. Per questo molti ragazzi europei e americani tornano anche una volta scaduto il contratto perché trovano molti ostacoli a livello professionale nei loro Paesi d’origine”. Infine, una speranza: “Auguro all’Italia che un giorno si accorga veramente delle opportunità che perde a lasciare andare così tanti ragazzi pieni di idee e di potenzialità. Altrimenti – conclude – la classe dirigente che tra vent’anni governerà sarà un clone di quella odierna”. Soprattutto perché “chi ha iniziativa e vuole cambiare, spesso viene ostacolato”.