Dopo Facebook, è il turno di Twitter. Lo sbarco a Wall Street del social network creato da Jack Dorsey e soci ha calamitato l’attenzione di appassionati e commentatori nelle ultime settimane. L’Ipo (offerta pubblica iniziale) è attesa per la prima settimana di novembre e, secondo i rumors più accreditati, dovrebbe consentire alla società di raggranellare più di 15 miliardi di dollari. L’operazione, però, rischia di non essere indolore e i timori maggiori sono quelli che Twitter finisca per cambiare pelle allo scopo di assecondare i desiderata del mercato finanziario.

Nonostante la sua popolarità, il social network che permette a 200 milioni di persone di “cinguettare” ogni giorno stenta a trasformare la sua attività in denaro sonante. Twitter ha chiuso il 2012 con una perdita di 79,4 milioni di dollari e, a metà 2013, il rosso è stato già di 69,3 milioni. Non stupisce, quindi, che l’azienda si porti dietro un deficit di 418 milioni di dollari. Numeri che, teoricamente, dovrebbero scoraggiare qualsiasi investitore dall’acquistarne le azioni. Le logiche del mercato in tema di Internet, però, non sono così lineari. Il pensiero diffuso è che il social network inizierà (o più che altro sarà obbligato) a sfruttare le sue potenzialità nel momento stesso in cui dovrà rendere conto agli azionisti. Le cose, però, non sono così facili.

Prima di tutto perché la struttura stessa di Twitter non è pensata per sfruttare gli avvisi pubblicitari come fonte di introiti. Il sistema di controllo pulito, con il solo elenco dei tweet e qualche controllo sparso qui e là si prestano ben poco ad ospitare banner e annunci. Pensare che a 7 anni dalla sua nascita questo possa cambiare è piuttosto azzardato e, al di là dei tweet sponsorizzati che sono comparsi già da qualche tempo, le potenzialità in questo senso sembrano proprio pochine. Tanto più che la creatura di Dorsey (ora nelle mani di Dick Costolo) non può permettersi certi giochetti nello stile dei “Mi piace” di Facebook per usare gli utenti come veicolo pubblicitario. Ve lo vedete un tweet a firma Barack Obama che consiglia ai suoi follower di visitare il sito di un concessionario d’auto di Pittsburgh?

Che cos’è, quindi, che alletta così tanto gli squali della finanza? Tanto per cambiare, sono le informazioni sugli utenti raccolti dal mega-network. Twitter, molto più che Facebook, consente (o consentirebbe) una profilazione estremamente accurata di chi lo usa. Non è un caso che Voices from the Blogs, startup italiana che sta costruendo le sue fortune sull’analisi dei big data, abbia usato l’analisi dei tweet provenienti dagli Stati Uniti per mettere a punto le previsioni sulle ultime presidenziali Usa, azzeccando il risultato di tutti gli stati in bilico e stracciando le società di statistica e i sondaggisti. Il vero valore di Twitter, quindi, non è nelle revenue dirette, ma nell’utilizzo delle informazioni che detiene. Ecco perché a Wall Street, non potendo (ancora) comprare azioni della Nsa, c’è un grosso interesse per Twitter.

Quanto è credibile uno scenario del genere? Per il momento l’unico segnale “forte” in questo senso è rappresentato dalle ultime mosse del social network. Nelle settimane scorse, per esempio, Costolo ha messo a segno l’acquisto di MoPub, una startup che si occupa della gestione e posizionamento pubblicitario nelle app mobile. L’idea sembrerebbe quella di utilizzare la profilazione tramite i tweet per ottimizzare la somministrazione di pubblicità su altre app attraverso MoPub. Un po’ pochino per far schizzare le azioni in vista dell’Ipo, ma da Twitter non ci si può aspettare molto di più. D’altra parte stiamo parlando di una delle poche aziende che negli ultimi anni ha saputo sbattere sul tavolo dei sonori “No” alle velleità di censura e controllo di regimi e “democrazie avanzate” preoccupate dalla pervasività dei cinguettii digitali. Uno stile, se non proprio una dimostrazione di coerenza, che i suoi utenti hanno apprezzato e ripagato con una fedeltà rara di questi tempi.  L’impressione, insomma, è che Twitter si appresti a entrare a Wall Street con quell’atteggiamento un po’ naif che hanno i “puristi” nei confronti dei businessmen consumati. Sarà, ma a me Twitter piace così.

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